
Federico Barakat
Milano, 28 gennaio 2016 - Il caso di Federico Barakat finirà sui banchi di Strasburgo. A deciderlo è stata la Corte europea dei Diritti dell’uomo, che nelle scorse settimane ha esaminato il ricorso presentato da Antonella Penati – la mamma del piccolo sandonatese ucciso dal padre, nel 2009, durante un incontro protetto – e lo ha ritenuto ammissibile. Nei prossimi mesi, quindi, i giudici della corte europea valuteranno se ci sono gli estremi per riaprire il lungo processo che ha portato, dopo tre difficili gradi di giudizio, all’assoluzione di due assistenti sociali e di un educatore del centro socio sanitario di via Sergnano, la struttura protetta dove è accaduta la tragedia.
A stroncare la vita di Shady, il suo primo nome che in arabo che significa «il canto dell’usignolo», sono state le 37 coltellate e gli spari inferti dal padre Mohamed Barakat, di origine egiziana, che dopo questo atroce gesto si è suicidato. «Ho chiesto alla Corte la revisione urgente del processo: la sentenza della Cassazione ha stabilito che in quell’incontro protetto i responsabili ‘non avevano l’obbligo di protezione fisica del bambino’. Ma non posso accettare che un luogo di tutela e di protezione di un minore sia lo stesso dove un padre possa uccidere un figlio, indisturbato», racconta Antonella Penati, impegnata da anni sul fronte della tutela dei bambini in difficoltà. «Voglio giustizia per mio figlio – continua la mamma – ma soprattutto voglio che altri bambini possano salvarsi da un sistema sociale che continua a togliere i piccoli dall’affidamento dei genitori tutelanti e ad esporli ai rischi dei maltrattamenti senza doverne rispondere in alcun modo». La tragedia di Federico era annunciata. «Quell’uomo era stato più volte segnalato come violento, in Comune tutti erano a conoscenza delle aggressioni e dello stalking che da tempo subivo. Il giorno stesso della morte di Federico avrei dovuto incontrare l’allora assessore ai Servizi sociali, non era un mistero che mio figlio era in pericolo. Eppure, nessuno ha impedito questa fine». Antonella Penati sta portando avanti numerose cause in ricordo del suo «piccolo usignolo» e all’indirizzo della Onlus «Federico Nel cuore» continuano ad arrivano casi di bambini maltrattati o in pericolo di vita.
Antonella non è sola. Più di 1.600 cittadini hanno firmato una petizione per chiedere giustizia, mentre è ancora aperta una raccolta fondi per sostenere le pesantissime spese legali. «Il ricorso a Strasburgo è molto importante per la giustizia di tanti altri bambini, è assurdo che un tribunale abbia assolto i tre imputati ritenendo che i servizi sociali non avevano l’obbligo della difesa fisica del minore». La situazione di violenza in cui il bambino e sua madre erano costretti a vivere aveva spinto il tribunale a stabilire che gli incontri tra Federico e Mohamed, che ormai viveva fuori casa da anni, dovessero avvenire nei locali dell’Asl per evitare situazioni di rischio. Eppure, questa misura cautelare che avrebbe dovuto proteggere Federico, è stata inutile di fronte alla violenza dell’uomo. «Chi non protegge i bambini deve essere punito – aggiunge la donna – perché nessuno può far parte di una società che non si prende cura dei propri figli. Queste persone sono responsabili della morte di mio figlio. La loro condanna non me lo avrebbe restituito, ma l’assoluzione fa sì che possano fare ancora del male. Sono a piede libero e lavorano ancora con dei bambini. Federico si è difeso all’aggressione del padre, sul suo corpo sono rimasti i segni della lotta, ma ha fatto tutto da solo: nessuno lo ha aiutato a vivere».
di PATRIZIA TOSSI