Smog e polveri, Brescia maglia nera "Tutto vero. Siamo primi per morti"

A quota 804 i decessi legati all’effetto complessivo di Pm2,5, No2 e ozono nel territorio di Ats

Smog a Brescia

Smog a Brescia

Brescia, 22 gennaio 2021 - Sono 804 i decessi legati all’effetto complessivo di Pm2,5, No2 ed ozono nel territorio di Ats Brescia, pari all’8,5% della mortalità generale naturale. La stima è contenuta nel primo rapporto dell’Osservatorio Aria Bene Comune pubblicato nei giorni scorsi dal Comune di Brescia, che dedica una sezione specifica agli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute, curata da Giuseppe De Palma per l’Università degli Studi di Brescia e da Michele Magoni, responsabile dell’Unità di epidemiologia di Ats Brescia. "I dati dello studio pubblicato su The Lancet Planetary Health sono in linea con i nostri – spiega Magoni – non ho trovato un grosso scostamento". Il metodo tra i due studi è diverso. Quello di Ats Brescia si basa sui dati di mortalità rilevati giornalmente e sull’andamento delle concentrazioni di inquinanti delle centraline Arpa.

I ricercatori dell’Università di Utrecht, del Global Health Institute di Barcellona e del Tropical and Public Health Institute svizzero hanno invece registrato in modo puntuale l’esposizione agli inquinanti per maglie e hanno applicato i dati di letteratura (riconosciuti dalla comunità scientifica) per stimare il numero di morti evitabili annualmente se le concentrazioni di Pm2,5 e No2 fossero nei limiti indicati dall’Oms o delle città europee con i valori più bassi. Ne è uscito un quadro pessimo per Pianura Padana, Repubblica Ceca e Polonia, con Brescia e Bergamo ai primi due posti per morti legate al Pm2,5. "Loro hanno fatto delle stime di esposizione molto più precise delle nostre – prosegue Magoni – rilevando che a Brescia l’11% della mortalità generale sarebbe evitabile se fossero rispettati i limiti di Oms per le Pm2,5. Non è lontano dal nostro 8,5%: lo scostamento può essere legato al fatto che noi abbiamo considerato gli effetti di breve periodo dell’inquinamento atmosferico, loro quello di lungo periodo". I dati pubblicati alla pagina 84 del rapporto dell’Osservatorio bresciano stimano inoltre un’incidenza di Pm2,5, ozono e No2 sul 33% delle morti per patologie respiratorie, sul 10,8% di quelle per patologie cardiovascolari. Si registra, inoltre, un impatto su ricoveri per malattie respiratorie e asma pediatrica (13,6%) e sugli accessi al pronto soccorso (17,8% di accessi per malattie respiratorie, 28,8% per asma pediatrica). "Non si vuole fare allarmismo – sottolinea Magoni - lo stesso studio pubblicato su The Lancet conferma che in tutte le città europee c’è un trend in calo dell’inquinamento atmosferico: i dati usati sono nel 2015, anno in cui la situazione era migliore del 2010. Anche la mortalità generale tende a diminuire, tuttavia, poiché l’inquinamento nella Pianura Padana non si riduce con la stessa intensità, vuol dire che la frazione di mortalità attribuibile allo smog aumenta". Se per contenere le emissioni di biossido di azoto si può agire sul traffico a livello locale, è più difficile affrontare il tema delle polveri sottili, che per il 54% derivano dal riscaldamento (soprattutto legna) e che non sono di origine strettamente locale. "Se anche Brescia smettesse oggi di emettere Pm2,5, sarebbe invasa da quelle prodotte da fuori: per questo servono approcci massicci ed integrati, non solo locali".

Gli studi disponibili dovrebbero essere lo spunto anche per ripensare i limiti di concentrazione degli inquinanti. "Soprattutto per il biossido di azoto – chiarisce Magoni – si nota che se si considera il valore di Oms il numero di morti evitabili rispetto a quello attuale è molto basso, mentre se si considera il valore della città europea con il livello più basso di No2, il dato di morti evitabili aumenta. Ciò significa che il limite dell’Oms è troppo alto e che serve un ripensamento globale".