Senza auto non sparisce il Pm10

Brescia, uno studio dell’Università certifica che nel lockdown del 2020 le medie sono state simili al 2016-19

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di Federica Pacella

Ridurre drasticamente il traffico non basterebbe ad abbattere significativamente il particolato atmosferico (Pm10): se non si interviene contemporaneamente su tutte le fonti emissive, in modo strutturale, singoli interventi rischiano di essere poco efficienti, non ripagando i ‘costi sociali’ delle limitazioni. Che il trasporto non fosse l’unica fonte di inquinamento era già noto: uno studio di UniBs, A2A e consorzio Ramet su Brescia, provincia sempre ai vertici delle classifiche sulla scarsa qualità dell’aria insieme al bacino padano, aveva già evidenziato il ruolo di riscaldamento (soprattutto a legna) e agricoltura. Ora, però, una ricerca del team dell’Università degli studi di Brescia (Elza Bontempi, Claudio Carnevale, Antonella Cornelio, Marialuisa Volta, Alessandra Zanoletti) mette più di un punto fermo, fornendo un solido supporto scientifico per i decisori. L’occasione dello studio è stata l’eccezionale misura del lockdown, che ha consentito, per la prima e probabilmente unica volta, di verificare l’impatto della drastica e prolungata riduzione di veicoli in circolazione sulle strade bresciane sul Pm10. Ebbene, analizzando i dati delle centraline Arpa di Villaggio Sereno e Broletto, dall’1 gennaio 2016 al 31 luglio 2020, è emerso che il biossido di azoto (inquinante secondario legato alle emissioni di ossidi di azoto e quindi al traffico veicolare) è diminuito drasticamente per effetto del lockdown, con concentrazioni medie giornaliere tra marzo e maggio 2020 che sono sempre state sotto il valore minimo dell’analogo periodo 2016-2019. Al contrario, per il Pm10 c’è stato un calo, ma più contenuto, che ha riguardato più i picchi di concentrazione che le medie.

"Il fatto che le concentrazioni di particolato atmosferico – spiega Carnevale, professore associato settore Automatica di UniBs – dipenda da diverse fonti (particolato primario, ma anche ossidi di azoto, ammoniaca e composti organici) lo rende meno sensibile alla riduzione di una, in quanto le altre fonti ‘forniscono’ comunque inquinanti che guidano la sua formazione". La ricerca, pubblicata nei giorni scorsi su Environmental Research, ha il merito di non essersi limitata a misurare i dati, ma di aver integrato diversi aspetti, dall’effetto del meteo a quelli delle misure adottate negli ultimi 5-10 anni da pubblico e privato, che hanno contribuito a ridurre le concentrazioni medie di Pm10. "È difficile trovare un sistema più complesso dell’atmosfera – sottolinea Carnevale –. Di fatto, non esistono soluzioni semplici a problemi complicati".