“Pizza connection”, il pm insiste: "aggravante del metodo mafioso"

Udienza in Appello per la banda manovrata dal ristoratore Sorrentino ai danni dei concorrenti

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di Beatrice Raspa

È tornato in aula il caso della presunta “Pizza connection” bresciana, l’inchiesta che nell’autunno del 2018 aveva acceso i riflettori su estorsioni, atti intimidatori e incendi ad opera di una banda di pregiudicati campani e calabresi per l’accusa tossicodipendenti ‘manovrati’ dal ristoratore Massimo Sorrentino ai danni dei propri concorrenti. Snodo delle attività - questa la tesi accusatoria - la pizzeria Tre Monelli di via don Vender (gestita dalla moglie di Sorrentino, ndr) nella quali furono trovati due fucili, due pistole e un passamontagna. Il processo in Corte d’appello si è aperto in seguito a una doppia impugnazione, ad opera di procura e difese, della sentenza del febbraio 2021 sfociata in dieci condanne. I giudici di primo grado al termine del dibattimento avevano inflitto a Sorrentino 10 anni e 11 mesi per varie ricettazioni, traffico di droga, spendita di monete false, incendio, ma lo avevano assolto da altre estorsioni e dall’aggravante del metodo mafioso. Il pm Paolo Savio però, convinto che il ristoratore fosse il mandante di una serie di blitz, ha sostenuto l’accusa pure in secondo grado chiedendo di riformare il verdetto e infliggere "pene secondo giustizia" includendo le imputazioni escluse, a cominciare dal riconoscimento del metodo mafioso ("Sorrentino era in grado di incutere paura con la sola fama criminale"). Per Savio della medesima aggravante deve rispondere l’amico Marco Garofalo (condannato a 6 anni e 4 mesi). Il procedimento coinvolgeva 14 imputati (uno deceduto) tra cui due ispettori di Polizia in pensione, Nicolo’ Cunsolo e Enzo Origlia, cui erano stati inflitti rispettivamente a 2 anni e 7 anni per, a vario titolo, corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e accesso abusivo a banche dati riservate. A impugnare la condanna oltre a Sorrentino e Marco Garofalo sono stati Origlia, Dejan Nedeljvovic (già condannato a 9 anni), Marco Bolentini (2 anni e 8 mesi), Alfredo Abrami (2 anni e mezzo) Giacomo Ferro (3 anni e 7 mesi), Antonio Garofalo (6 mesi). L’udienza senza la stampa per decisione del presidente Annamaria Dalla Libera. Scelta stigmatizzata dal difensore di Sorrentino, il quale si è sempre professato innocente. L’avvocato Gianbattista Scalvi ha depositato alla Corte un’istanza di nullità dell’udienza per violazione del diritto di pubblicità del processo.