"Perquisizione violenta". Ma il giudice gli dà torto

Chiede l’imputazione coatta di tre forestali, finisce nei guai per resistenza a pubblico ufficiale

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Si rivolge al giudice per le indagini preliminari per chiedere l’imputazione coatta dei tre carabinieri forestali che – a suo dire – avevano messo in atto una perquisizione violenta nel suo capanno, in spregio alle regole. Ma l’unica imputazione coatta che ottiene è nei propri confronti: la sua condotta infatti "integra gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di resistenza a pubblico ufficiale", ha deciso il giudice Carlo Bianchetti.

Così si è conclusa la battaglia legale di un cacciatore, un 58enne di Lumezzane, che aveva denunciato per calunnia e lesioni personali tre militari, protagonisti di un blitz nel suo capanno di caccia a Casto. Era il 18 ottobre dell’anno scorso. La Procura aveva chiesto l’archiviazione del procedimento ma il cacciatore, rappresentato dall’avvocato Alberto Scapaticci, si era opposto e aveva anzi chiesto l’imputazione coatta dei forestali non solo per i reati ipotizzati ma anche per perquisizione arbitraria.

Stando al legale, infatti, i tre forestali si erano palesati senza mandato autorizzativo e il suo assistito non violava alcuna regola. A riprova degli abusi, aveva prodotto il video registrato da una telecamera del capanno in cui si vedeva il cacciatore a terra, che si sbracciava. Il giudice, però, ha archiviato la loro posizione, ritenendo che i forestali fossero nel lecito avendo visto con un binocolo il cacciatore mentre utilizzava richiami vivi, pratica vietata.

Quella perquisizione è stata dunque eseguita in flagranza, "per cercare fonti di prova". Non solo. "La condotta documentata dal filmato costituisce non prova di volontaria azione violenta ma di un uso legittimo della forza per vincere la resistenza scomposta attutata dal cacciatore", si legge nell’ordinanza. La discrasia tra la versione del denunciante e quanto ricavabile dal filmato e dai dialoghi secondo il parere del giudice "esclude che gli indagati abbiano falsamente attribuito al cacciatore una condotta di resistenza, atteso che tale condotta, evidentemente finalizzata a impedire il rinvenimento di esemplari di uccelli vivi da lui illecitamente detenuti, appare univocamente documentata".

Beatrice Raspa