Manerbio: campane, una passione senza età

Francesco, 22 anni, coordina la federazione bresciana che attrae sempre più giovani

Il gruppo  di Francesco è formato da 30 elementi

Il gruppo di Francesco è formato da 30 elementi

Manerbio, 18 febbraio 2019 - Accanto alla foto-profilo di WhatsApp Francesco “Dolfo” Dolfini, 22 anni, ha il simbolo di due campane. E sotto ha scritto una frase: «Una vera passione dura dalla nascita alla morte, altrimenti non è una vera passione». La passione di questo ragazzo è salire sui campanili e sulle torri merlate disseminate per la provincia di Brescia per suonare a mano le campane. Da qualche tempo Francesco è il coordinatore della Federazione dei campanari bresciani. Lui, poco più che ventenne, ha raccolto l’eredità di un ultrasettantenne, Lorenzo Spalanza, che nel 2006 nel piccolo paese bassaiolo di Pompiano aveva catalizzato un gruppo di appassionati di bronzi e batacchi poi assurti nel 2012 al rango di federazione vera e propria. Una federazione che fa parte di un’associazione nazionale.

Le campane fino a qualche decennio fa scandivano il tempo delle comunità, annunciando gioia, dolore, morte e minacce imminenti in un linguaggio comprensibile universalmente. Oggi, invece, suonano molto più di rado, spesso vengono tacciate di inquinamento acustico e soprattutto fanno parte di un mondo dominato dall’elettrificazione e dal digitale. Uno si immagina, dunque, che a interessarsi del recupero della tradizione del suono manuale ci sia uno sparuto gruppo di nostalgici con barba e capelli bianchi. Invece, a sorpresa, i campanari bresciani sono giovani, giovanissimi, alcuni addirittura quasi bambini. Entusiasti all’idea di combattere una crociata personale contro le melodie registrate, li si vede in cima alle torri appendersi alle corde e fare su e giù e andare a scampanare in occasione di feste patronali, matrimoni, battesimi e funerali compatti e determinati. «Fissi siamo circa una trentina – racconta Francesco, che vive a Manerbio –. Ci teniamo in contatto telefonicamente. Quando ci chiamano, andiamo».

Operaio nel settore delle fibre ottiche, «Dolfo» la passione per le campane ce l’ha nel sangue da sempre. Da bimbo accompagnava prima il nonno e poi il padre a suonare sul campanile di Dello; con gli anni è diventato un vero cultore della materia. «C’è una bella differenza tra suono registrato e campane suonate a mano, se hai orecchio te ne accorgi subito – dice – Soprattutto nel caso dell’allegrezza, che si suona con la tastiera in legno collegata ai batacchi e dà la possibilità di sbizzarrirsi con valzer e melodie. Per imparare non c’è niente di meglio di esercitarsi sul campo». Il suo sogno, dice, è mollare la fabbrica e diventare campanaro a tempo pieno. Non solo un suonatore, ma uno che i bronzi li fonde e li ripara. Mentre attende, si occupa di collaudi, di controlli tonali e si gode le scampanate domenicali, o festive con altri giovani come lui, elettrizzati dall’impresa di riempire l’aria di din-don-dan ricavati a forza di braccia e sudore. «Per fortuna sempre più spesso le nostre chiese stanno recuperando le vecchie campane. Digitale ed elettrificazione certo non possono sparire per ragioni di comodità, ma si fa largo il doppio sistema. Concerti ancora manuali ci sono a Pompiano, Ghedi, a Lumezzane, nel duomo di Rovato, a Bagolino, San Colombano di Collio, Palazzolo sull’Oglio, Marmentino, Niardo, Gianico, Bienno, Breno, a breve anche a Manerbio e poi in molti altri paesi. Quindi ci chiamano di frequente. E ci divertiamo».