Amianto, lo studio: la strage non è ancora finita, morti per altri dieci anni

Pietro Gino Barbieri, medico del lavoro bresciano oggi in pensione: "In 25 anni abbiamo avuto 800 morti per mesotelioma da amianto ed altrettanti tumori al polmone"

Un tecnico impegnato in una bonifica

Un tecnico impegnato in una bonifica

Brescia - «Una strage che non è ancora finita». Non usa mezzi termini Pietro Gino Barbieri, medico del lavoro bresciano oggi in pensione, che dal 1980 è stato direttore del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro dell’allora Asl di Brescia e responsabile del Registro Mesoteliomi Maligni della Provincia di Brescia (il primo provinciale in Italia, istituito nel 1994). «In 25 anni nel Bresciano abbiamo avuto 800 morti per mesotelioma da amianto ed altrettanti tumori al polmone – spiega Barbieri -. Purtroppo nessun caso di mesotelioma è sopravvissuto oltre i 5 anni. La tragedia non si è conclusa, per almeno altri 10 anni avremo decessi, di cui in molti casi ci si chiederà il perché è successo».

Se, infatti, l’esposizione lavorativa in alcuni settori è nota ed evidente, per altri settori lo è molto meno e, visto che il periodo di latenza dei mesoteliomi arriva fino a 50 anni, il rischio è che sia difficile riuscire a ricostruire la storia dell’esposizione. Il problema è particolarmente accentuato per le donne. «La maggior parte dei nostri casi – spiega Barbieri – ha riguardato ad esempio le donne che lavoravano in settori “insospettabili“, come il tessile. Ma ricordo anche una maestra, a cui è stato diagnosticato questa terribile malattia, per esposizione riconducibile ad una marca di plastilina». Nel libro “Morire di amianto“, presentato alla Cgil di Brescia in occasione della Giornata dedicata alle vittime dell’amianto, Barbieri ha voluto raccogliere il repertorio di tutte le esposizioni lavorative che ha intrecciato nel corso del suo lavoro nel Bresciano, dove il primo caso di mesotelioma è stato diagnosticato nel 1987 ad un manutentore ed elettricista della Sil di Verolanuova (unica fabbrica di cemento amianto a Brescia), morto a 45 anni.

«Ci furono anche casi di mesoteliomi ambientali, legati all’esposizione di persone che abitavano a poca distanza da quella fabbrica - ricorda Barbieri -. Col mio libro voglio lasciare un documento per aiutare chi, in futuro, troverà queste malattie. Si poteva evitare? Dagli anni ‘50 si sa che causa l’esposizione ad amianto causa il tumore al polmone, dagli anni ‘60 è noto come causa del mesotelioma. Si sarebbe potuto intervenire prima della messa al bando del 1992: c’è una responsabilità del sistema produttivo». Con 6128 casi certi di mesotelioma rilevati dal registro regionale dal 2000 al 2020 la Lombardia è la regione con il numero più elevato di casi. Nonostante siano passati 30 anni dalla messa al bando dell’amianto, il pericolo non è finito. «Oggi solo nel Bresciano ogni giorno ci sono circa 500 lavoratori che si occupano di rimozione amianto – sottolinea Ettore Brunelli, medico del lavoro – queste persone sono ancora esposte. Le procedure per difendersi sono molto complesse, richiedono formazione e attrezzature adeguate, ma non sempre le prescrizioni sono rispettate. Io ho avuto esperienza di centinaia di cantieri, posso assicurare che di contravvenzioni ne sono state fatte tante. L’exploit di cantieri richiederebbe un surplus di controlli Consideriamo che spesso parliamo di operai stranieri, in condizione di fragilità, facilmente ricattabili. Vista la latenza di 40 anni, probabilmente la diagnosi avverrà quando saranno già tornati nel loro Paese, avremmo l’onere morale di tutelarli».