Saronno, morti in corsia: ecco le vittime del "protocollo Cazzaniga"

Svelati i nomi di altri due malati morti col solito “protocollo”. I legali dell’ex amante in aula: "Laura Taroni va assolta"

Laura Taroni a processo

Laura Taroni a processo

Saronno (Varese), 10 febbraio 2018 -  Quelli di Federico Mascazzini e Pietro Oliva, due anziani malati oncologici sono gli ultimi nomi che portano a undici gli omicidi in corsia contestati dalla procura di Busto Arsizio, a Leonardo Cazzaniga, anestesista e all’epoca aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno. Secondo l’accusa, anche a questi pazienti il medico avrebbe applicato quello che aveva battezzato “protocollo Cazzaniga”, un extradosaggio, in rapida successione, di morfina e ansiolitici. Entrambi i pazienti abitavano a Saronno. Mascazzini muore al pronto soccorso di Saronno, a 75 anni, il 14 dicembre 2010. Era minato da una patologia tumorale maligna ormai degenerata in metastasi. Per Pietro Oliva, 84 anni, l’ultimo giorno di vita è il 7 novembre 2010. Soffriva per una neoplasia polmonare, una patologia broncopolmonare cronica e una forma di arteriosclerosi. «Laura Taroni va assolta tre volte volte, una per ognuno degli omicidi che le sono contestati in concorso con il suo amante Leonardo Cazzaniga: il marito Massimo Guerra, la madre Maria Rita Clerici, il suocero Luciano Guerra». Nella nuova udienza preliminare davanti al gup di Busto, Sara Cipolla, è il giorno della difesa della infermiera di Saronno, in carcere del novembre del 2016. È il turno della penalista varesina Monica Alberti.  Caso Massimo Guerra. Non esiste alcuna evidenza scientifica, alcuna consulenza, di un nesso fra la morte e la Metamorfina, il farmaco che la Taroni somministrava al marito dopo averlo indotto a credere di soffrire di diabete. Tanto che la donna assumeva a sua volta il medicinale come cura dimagrante. La Taroni non voleva sopprimere il marito (morto il 30 giugno 2013), ma fiaccarlo per placarne una libido che si traduceva per lei in autentiche angherie. La richiesta è quella di assoluzione in base al secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale quando la prova del reato è insufficiente o contraddittoria. In subordine la richiesta di derubricare da omicidio volontario a preterintenzionale. Sul punto, dopo l’udienza, un replica a distanza dell’avocato Luisa Scarrone, parte civile per la madre di Massimo Guerra, Maria Pia Florina, e la sorella Gabriella: «La somministrazione di farmaci a Massimo è proseguita senza soluzione di continuità. Dalle testimonianze emergono riscontri molto precisi sul suo stato di prostrazione, con tremori, torpore, eccessiva spossatezza. Massimo e tutta la famiglia si fidavano assolutamente di Laura. Era lei il punto di riferimento per la salute».  Caso Maria Rita Clerici. L’episodio più più tormentato e complesso. L’omicidio per cui i pubblici ministeri contestano l’aggravante della premeditazione. Con il trascorrere del tempo e il succedersi delle udienze e dopo la controffensiva della difesa Cazzaniga (gli avvocati bresciani Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora) e nuovi accertamenti disposti dalla procura, si è aperta più di una falla nella versione della Taroni. La donna ha sostenuto che la era del 4 gennaio 204 si trovava con Cazzaniga al capezzale della madre, che accusava vari malesseri. Si erano scambiati un’occhiata. Il medico aveva estratto una siringa pronta per l’uso dalla scatola di un prodotto fibrinolitico e praticato l’iniezione fatale nella giugulare destra della Clerici. Subito dopo aveva detto a Laura che la madre l’ha sempre vessata. Pare allora destinata a cadere la tesi della iniezione di fibrinolitico. Ma, sostiene il difensore Alberti, non ci sono neppure elementi per affermare che la Clerici abbia assunto farmaci. E dopo morta la donna è stata cremata. Quanto alla versione del fibrinolitico, che suonerebbe con un’autoaccusa, potrebbe avere giocato nella Taroni l’oscuro desiderio di sentirsi colpevole.  Caso Luciano Guerra. Il pm ha chiesto l’assoluzione. Assoluzione piena perché il reato non è stato compiuto, chiede la difesa. Quel giorno, il 20 ottobre 2013, la Taroni è entrata nella camera del suocero, degente a Saronno, quando questi era già spirato.  «Ho voluto - dice l’avvocato Alberti al termine dell’udienza - iniziare con una premessa metodologica: si tratta di un processo indiziario. E con un’altra premessa sulla personalità complessa di Laura Taroni».