"Il carcere modello non esiste, a Bollate il progetto prosegue"

Il provveditore Luigi Pagano dopo le aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria: "Rischio zero? Impossibile"

Il carcere di Bollate

Il carcere di Bollate

Bollate (Milano), 30 maggio 2017 - Cinque aggressioni in pochi mesi: detenuti che picchiano agenti della polizia penitenziaria. A marzo una lite tra detenuti albanesi e maghrebini a suon di pezzi di legno e spranghe di ferro. Pochi giorni fa il ritrovamento di un coltello da cucina e tre chiavette usb nella cella di un detenuto marocchino. Per il Sappe, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, la seconda casa di reclusione di Milano-Bollate non è più il "modello" di carcere da tutti difeso.

Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri, cosa ne pensa?

"Io credo che ci sia un equivoco di fondo che va chiarito: il carcere di Bollate è sicuramente un buon istituto. A Bollate ci vanno i detenuti che hanno già iniziato un percorso rieducativo o che lì possono avvalersi di un trattamento avanzato. Ma il carcere modello, nel vero senso della parola, non esiste".

Le aggressioni di questi mesi sono imputabili alle celle aperte e alla vigilanza dinamica?

"Quando si parla di vigilanza dinamica non significa che i detenuti vengono lasciati soli e che possono fare quello che vogliono. Il concetto dinamico è in relazione al detenuto, inoltre in questo tipo di vigilanza non è impegnato solo il personale di polizia penitenziaria, ma sono coinvolti anche educatori, operatori e volontari. In base al comportamento del detenuto si decide se aumentare o abbassare la vigilanza nell’ottica di un concetto di responsabilizzazione".

Cosa fare di fronte a questa escalation di aggressioni nei confronti degli agenti?

"Nel caso del detenuto marocchino protagonista degli ultimi episodi di violenza, bisogna ricordare che è arrivato a Bollate un anno fa e che finora non aveva dato nessun tipo di problema. Ora dovrà rispondere all’autorità giudiziaria e nei suoi confronti sono già stati presi provvedimenti disciplinari. Se verrà valutato non idoneo per stare a Bollate sarà spostato".

E negli altri casi?

"Il rischio zero non esiste da nessuna parte. A Bollate abbiamo 1.200 detenuti, il numero di eventi critici, mi riferisco alle aggressioni, ai suicidi o alle evasioni, è molto più basso rispetto ad altre case di reclusione. Se confrontiamo questi con i progetti di reinserimento sociale e occupazione e tutte le altre attività che si svolgono a Bollate, credo che sia un rischio che si possa correre".

Ma si può sempre migliorare?

"Certamente e noi non sottovalutiamo nessuno di questi eventi. La soluzione è la prevenzione. Non si può pensare di tornare indietro, sarebbe sbagliato. Scontare la pena in una cella chiusa a chiave, senza dare un senso alla detenzione, non produce maggiore sicurezza sociale, né dentro né fuori dal carcere. Gli studi dimostrano il contrario: cioè che coloro i quali partecipano ad attività trattamentali o usufruiscono di misure alternative, terminata la pena delinquono 70 volte di meno rispetto a chi ha scontato la pena in stato detentivo. L’impegno di tutti è costante, ma non si potrà mai azzerare il rischio".