Omicidio di Motta Visconti, il padre e marito sterminatore cerca sconto e infermità

Carlo Lissi uccise moglie e figli: erano un peso. Ha già scelto la strategia per ridurre la pena, mentre noi chiediamo il massimo», dice l’avvocato Domenico Musicco che difende la famiglia delle vittime di Barbara Calderola

Cristina Omes e Carlo Lissi

Cristina Omes e Carlo Lissi

Motta Visconti, 15 aprile 2015 - Rito abbreviato e infermità mentale. Carlo Lissi, il marito e padre assassino reo confesso di Motta Visconti, va alla sbarra. «E ha già scelto la strategia per ridurre la pena, mentre noi chiediamo il massimo», dice l’avvocato Domenico Musicco che difende la famiglia delle vittime. Martedì, l’udienza preliminare davanti al gip di Pavia che deciderà se rinviare a processo, ma l’esito è scontato, l’informatico 31enne che il 14 giugno 2014 massacrò nella villetta di via Ungaretti la moglie 38enne Cristina Omes e i due figli, Giulia di 5 anni e Gabriele, 20 mesi. A Lissi, avvitato nell’amore non corrisposto per una collega, non bastava sciogliere il vincolo coniugale, voleva eliminarlo.

L’ha raccontato lui stesso al pm: «Se mi fossi separato, i bambini sarebbero rimasti». Così ha cancellato tutto nel sangue. «Voleva riavvolgere il nastro di una vita, ricominciare come nulla fosse», dice il criminologo Francesco Bruno. «Ci opporremo alla perizia psichiatrica, abbiamo un nostro consulente», annuncia Musicco, che assiste Giuseppina Omes, la mamma di Cristina. «Sono giorni dolorosissimi. Dopo 10 mesi, mi troverò davanti il mostro». Suocera e genero non si vedono dai primi istanti dopo la tragedia. Quando nell’aria aleggiava ancora l’ipotesi della rapina, inscenata dall’uxoricida, per l’accusa. Lissi si era accordato con un amico per vedere al bar Italia-Inghilterra. E lui, il marito modello, mai una parola fuori posto in pubblico, nel pomeriggio giocava in piscina coi bimbi e contava le ore che lo separavano dalla mattanza. Tutto preparato, secondo le indagini. Alibi e sequenza. I piccoli erano già a letto, quando Lissi stava per uscire. Prima, però, la brutale aggressione a Cristina con un coltello da cucina. Poi la corsa al primo piano della villa, dono dei suoceri, e la morte ai bambini nel sonno. Si lavò e raggiunse gli amici. Tradito dalle mutande, che non cambiò dopo la doccia, Lissi fece ritrovare ai carabinieri l’arma, gettata in un tombino. In caserma, il crollo: «Sono stato io». Giuseppina piange. «Chiedo un briciolo di giustizia per i miei angeli. Tre ergastoli. Non un anno di meno».