Omicidio a Milano: Sonia, strangolata dal fidanzato. La disperazione del papà: quello sciagurato la massacrava

Michelangelo Trimboli: non sono riuscito a salvare mia figlia di Anna Giorgi

Il padre della vittima Michelangelo Trimboli mostra alcune foto della figlia Sonia (Newpress)

Il padre della vittima Michelangelo Trimboli mostra alcune foto della figlia Sonia (Newpress)

Milano, 21 ottobre 2014 - «Se mi lasci giuro che ti ammazzo. Perché, come è vero Dio, tu non stai al mondo per incontrare un altro. Così le diceva, così. E lei era fragile, si faceva massacrare di botte, lo lasciava e poi se lo riprendeva». Un omicidio annunciato, per Michelangelo Trimboli 78 anni, papà di Sonia, 42 anni, uccisa domenica dal fidanzato Gianluca Gerardo Maggioncalda, 42 anni. Come lei. Stragolata a letto, nel sottotetto della casa di lui, in via della Commenda, al civico 28. «Io non sono riuscito a salvare mia figlia da quello sciagurato e questa è la cosa che farà morire anche me». Perché la storia di Sonia è una tragedia fatta di violenze ripetute, in una vita persa. Persa nell’alcol, negli incontri sbagliati e nella depressione. Persa sempre negli stessi errori.

«Domenica Sonia mi ha telefonato alle 13 circa - racconta il padre - papà tienimi il cane, vado a mangiare dalla nonna. Quando poi la sera non è rientrata ho avuto un brutto presentimento. Ho pensato subito che quel bastardo le avesse fatto del male». C’è stato un momento in cui Sonia, un diploma di maestra e il sogno di insegnare ai bambini, ha smarrito la strada. «Dopo la morte della mamma, dieci anni fa», dice il padre. Da allora è entrata nel tunnel della disperazione. «Non si accettava più, anche se aveva vinto un concorso di bellezza, giù a Milazzo, in Sicilia, la nostra città d’origine», dice. Ha cambiato il suo aspetto con la chirurgia estetica, si è separata dal marito e ha cominciato a bere.

Nel 2006 Sonia, era finita coinvolta in un’altra brutta storia. Si era messa a frequentare il civico 42 di viale Bligny. Un luogo famigerato, un fortino di immigrati che controllano lo spaccio dello droga. Sonia era entrata per consumare cocaina con due Nordafricani. Poi loro avevano tentato di violentarla, lei si era difesa e loro l’avevano accoltellata. La lama conficcata tre volte nella schiena, ma si era salvata. Era “tornata a a casa” e aveva promesso al padre che con quella vita da sbandata avrebbe smesso.

Otto, nove mesi fa, l’incontro con Gianluca, anche lui alcolizzato. La storia non era cominciata subito, la relazione vera e propria era iniziata a luglio. Ancora una storia malata e sbagliata. Ancora la disperazione, di nuovo gli stessi errori. «Mia figlia la vedevo infelice. Tornava a casa piena di lividi e piangeva. Fino alla notte del 28 agosto, quando ha rischiato di morire per la prima volta. L’ho salvata io, l’ho soccorsa io in via Orti. Lui aveva tentato di stargolarla, l’aveva presa a bastonate. Insieme, io e lei, siamo andati al Policlinico e poi a fare denuncia». Si era convinta: papà non lo voglio più, davvero. Stavolta te lo prometto.

E lui era di nuovo impazzito. La cercava, la voleva. «Io l’ho visto qualche giorno fa sotto il portone di casa, girava in bicicletta, non la lasciava stare. La tormentava. Le diceva ti amo. L’ultima volta che l’ho visto appostato gli ho detto: “Se non te ne vai chiamo la polizia”. Il tempo di prendere il telefono in mano e lui era già scappato. «Non la mollava la mia Sonia - dice ancora il padre - . Forse, se quella volta avessi fatto quella telefonata».

di Anna Giorgi

anna.giorgi@ilgiorno.net

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