L'INCHIESTA - La dura vita di chi indossa il niqab. E c’è chi non affitta ai musulmani

Viaggio in cinque agenzie immobiliari dei cronisti che si fingono islamici di NICOLA PALMA e MARIANNA VAZZANA

Inchiesta de Il Giorno (Newpress)

Inchiesta de Il Giorno (Newpress)

Milano, 25 novembre 2015 - Una coppia normale. Come ce ne sono tantissime ormai nella multietnica Milano. Lui è un italiano di 34 anni: deve trasferirsi per lavoro in Città Studi con la sua compagna e sta cercando casa in affitto da gennaio 2016. Lei è una tunisina di 32 anni: musulmana come i suoi genitori, ogni volta che esce di casa indossa il niqab, copricapo composto da un fazzoletto e un pezzo di stoffa rigorosamente neri che nasconde per intero la faccia delle donne islamiche lasciando in vista solamente gli occhi. In realtà, siamo due cronisti del Giorno. Ieri abbiamo indossato questi panni per andare in giro a caccia di un bilocale tra Lambrate e Piola. Con una puntatina in centro. Ci siamo presentati in cinque agenzie immobiliari per chiedere informazioni. E soprattutto per capire se quell’indumento genera diffidenza. Se la psicosi scatenata dalla paura di attentati jihadisti ha effetti pratici nella quotidianità. Se, in definitiva, basta un foulard sulla testa a spaventare chi ti sta di fronte.

Ecco il resoconto del nostro viaggio. Ore 11, ci incamminiamo lungo viale Gran Sasso. Il velo integrale attira inevitabilmente l’attenzione dei passanti: c’è chi si limita a uno sguardo, chi commenta sottovoce. In via Pacini, ecco il primo ufficio. Non abbiamo appuntamento, suoniamo e ci aprono. «Prego, accomodatevi», ci dice il responsabile. Stringe la mano a lui, la allunga titubante verso di lei. «Cerchiamo un appartamento, vogliamo spendere massimo 800 euro...». Parla solo l’uomo. Lei resta in silenzio. L’agente immobiliare non la guarda nemmeno. «Perfetto, ne abbiamo alcuni che possono fare al caso vostro...». Tutto bene? Più o meno. Sì, perché subito dopo il ragazzo aggiunge un po’ timoroso: «Prima devo chiedere ai proprietari se sono d’accordo». «D’accordo per cosa?», gli domandiamo. «Beh, devo chiedere se vogliono dare in locazione a stranieri: sa – aggiunge volgendo per la prima volta gli occhi alla donna – è capitato che qualcuno si sia rifiutato di affittare a studenti turchi del Politecnico». Ci scambiamo un recapito telefonico e ci salutiamo con una stretta di mano (a metà, perché stavolta la cronista velata non viene considerata). Proseguiamo, svoltiamo in via Teodosio e incrociamo altre due agenzie.

Nella prima ci accoglie un uomo sulla quarantina che ripete lo stesso mantra («Devo prima passare dal proprietario») e poi ci dà qualche consiglio per trovare un luogo di culto in zona: «Andate in via Padova e chiedete degli uffici comunali: lì vicino c’è una specie di moschea»; nella seconda agenzia, una ragazza alla reception ci dice «che al momento non ci sono appartamenti idonei». Altri cento metri di strada ed eccoci nella quarta, in via Porpora. Anticipiamo noi la probabile tiritera già sentita: «Avete problemi a trovare casa per i musulmani?». «Dipende dal proprietario – replica con estrema cortesia l’agente immobiliare –. Di solito non abbiamo difficoltà, ma noi preferiamo organizzare un incontro preliminare tra le parti per evitare ripensamenti al momento della firma». Forti di queste indicazioni, prendiamo il metrò e ce ne andiamo in zona Cordusio per l’ultima prova. Agenzia a due passi da piazza Affari, prezzi alti anziché no. E allora ci trasformiamo in una coppia di designer in cerca di uno showroom da 300 metri quadri in zona centro: «I nostri consulenti tornano nel pomeriggio, lasciatemi un numero di cellulare...», sorride una ragazza dietro la scrivania. «Ok, a presto», salutiamo. Nell’altra stanza ci sono due ragazzi: si accorgono della donna col niqab e uno di loro si lascia scappare “Deve essere una sofferenza andare in giro con tutta quella roba...”. In effetti, non è proprio una passeggiata.nicola.palma@ilgiorno.net

marianna.vazzana@ilgiorno.net

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