Luca Zorloni
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Soldi ai templi e non agli operai: i fondi per il Nepal di Expo cambiano scopo

Già raccolti 700mila euro, l’obiettivo è arrivare a un milione entro la fine della manifestazione. Sarebbero dovuti servire per formare lavoratori per la ricostruzione, saranno usati per il restauro di una pagoda

Lo stupa al centro del palazzo del Nepal è una delle costruzioni più fotografate

Lo stupa al centro del palazzo del Nepal è una delle costruzioni più fotografate

Milano, 24 settembre 2015 - L'obiettivo è di raccogliere entro fine ottobre un milione di euro, da donare al Nepal ancora piegato dal terremoto dello scorso 25 aprile. Nelle due teche disposte sul sito dell’Esposizione universale di Milano la campagna di beneficenza, lanciata dagli organizzatori e da Cgil, Cisl e Uil all’indomani del cataclisma, ha già totalizzato quota 700mila euro. La generosità dei visitatori, spiegano da Expo spa, servirà a finanziare progetti di sostegno alle popolazioni terremotate. 

Tuttavia proprio sull’uso finale delle donazioni ieri è avvenuto un inaspettato sorpasso a destra. A Expo si celebra la giornata nazionale del Nepal, la delegazione di Kathmandu programma un incontro con la stampa per discutere dell’operazione solidarietà. «I soldi raccolti da questa iniziativa saranno usati per ristrutturare il tempio di Kasthamandap», scandisce il ministro nepalese del Commercio, Sunil Bahadur Thapa. Si tratta di uno dei monumenti distrutti dal sisma di magnitudo 7,8. Il tempio di Kasthamandap è tra i più antichi del Paese, tanto che gli storici ritengono che il nome della capitale Kathmandu derivi proprio da quello di questa pagoda, ed era anche tra le mete più gettonate dai turisti. La cifra non è sufficiente, perciò sarà integrata dal governo nepalese, e Thapa assicura che i soldi raccolti all’Expo «non verranno usati per altri interventi, ma solo per la ricostruzione di quel tempio, per giustificare un uso corretto del fondo».

Però l’annuncio del ministro ha l’effetto di un fulmine a ciel sereno, c’è chi sobbalza sulla sedia, perché un programma per utilizzare le donazioni provenienti dall’Expo è già pronto e non riguarda il restauro dei templi, bensì la formazione di lavoratori nepalesi in grado di contribuire alla ricostruzione del Paese. A chiederlo era stato lo stesso governo, per bocca del ministro delle Finanze: dopo il terremoto di aprile che ha ucciso 20mila persone e raso al suolo 500mila abitazioni, in Nepal mancano all’appello ancora oggi almeno 50mila operai edili. I sindacati internazionali Ntuc e Ituc si erano subito fatti avanti, tracciando un piano che prevedeva la formazione dei lavoratori, la costruzione di centri per l’impiego nei 14 distretti più colpiti dal sisma, un archivio digitale per combinare domanda e offerta e politiche per la ricostruzione di edifici pubblici e privati. Cgil, Cisl e Uil, affiliate alle federazioni mondiali, programmano di destinare a questo progetto i fondi raccolti in collaborazione con Expo (nelle due teche al padiglione del Nepal e sul Decumano) e invitano al tavolo l’associazione non governativa Save the children, che da anni opera in Nepal.

L’obiettivo è affiancare alla ricostruzione un percorso per la piena occupazione. Tuttavia l’annuncio del ministro del Commercio scompagina le carte. Entrambe le iniziative hanno scopi benefici, ma dietro le quinte il cambio di rotta di Kathamandu alimenta dubbi. Nel frattempo il Nepal, che scommette sul turismo per rialzarsi, ha offerto il proprio padiglione all’Expo all’Italia, «come segno della nostra riconoscenza – spiega il vicecommissario, Amrit Ratna Shakya – e come porta dell’Europa verso l’Oriente».

luca.zorloni@ilgiorno.net

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