Ragazza uccisa a coltellate: "Jessica ha detto 'no' alla cultura dell'istinto"

L’omelia: "Ha pagato con la vita questo rifiuto". Tensione in chiesa tra fazioni ostili. Alla fine, un volo di palloncini bianchi

Tensione ai funerali di Jessica Faoro

Tensione ai funerali di Jessica Faoro

Milano, 25 febbraio 2018 - «Il dolore e la tristezza che proviamo dimostrano la nostra impotenza di fronte a certi eventi della vita. Vorremmo tornare indietro, fermare il tempo, intervenire». «In noi è cresciuta la rabbia, di fronte a tanta violenza senza senso». È cominciata così la riflessione di don Paolo Zago, affiancato da don Gino Rigoldi, ieri alla chiesa di San Protaso in piazzale Brescia per l’ultimo saluto a Jessica Faoro, la diciannovenne uccisa a coltellate dal tranviere Alessandro Garlaschi lo scorso 7 febbraio in via Brioschi, nell’appartamento dell’uomo.

Jessica sorride nella fotografia sistemata all’ingresso della chiesa, sorride nei ricordi delle amiche Sonia, Benedetta e Desirèe, che fuori dalla chiesa evocano momenti felici («entrava in classe con le cuffiette nelle orecchie, allegra. E cantava sempre»). Sorrisi spenti dalle lacrime, versate da una folla di parenti e amici ma anche da sconosciuti, sopra la bara bianca sommersa di gerbere, rose rosa e pittosforo. Ma per Jessica ieri ci sono stati anche applausi che hanno accompagnato un volo di palloncini bianchi. Tanti, i biglietti scritti a mano, per questa ragazzina dalla vita travagliata a cui nessun adulto ha saputo dare un punto d’approdo sicuro. «Vorremmo tornare indietro, fermare il tempo, intervenire», ritornano le parole di don Zago. «Perdona questo mondo di m...», scrive una donna sul libro riservato a firme e pensieri. 

In rappresentanza del Comune, l’assessore alle Politiche sociali Piefrancesco Majorino. Tra i fiori e i messaggi, quelli della Squadra Mobile di Milano e della presidente della Camera Laura Boldrini. Silenzio, durante l’omelia. «Le radici di questo male affondano altrove – ha sottolineato don Zago –. La violenza è frutto della cultura di questo tempo in cui gli istinti prevalgono sulla verità e sulla ragione. Una cultura che ha trasformato i desideri in bisogni, le voglie in diritti. Jessica ha pagato con la vita il suo “no” a questa cultura. Il suo non è solo un caso di femminicidio, il suo “no” è molto di più: un grido di speranza, il mistero di una croce, il segno di Dio flagellato (lui con 39 colpi, lei con 40). Quando sembra sconfitto, Dio vince sul male. E Jessica ora ci incoraggia a dire “no” alla cultura della morte e della sopraffazione, ci sprona a tentare di ritrovare i valori che non assoggettano le emozioni a voglie individuali». Ma il silenzio è stato rotto in altri momenti: fin dall’inizio, “fazioni” di conoscenti hanno manifestato reciproca ostilità.

Il culmine poco dopo l’omelia, quando Annamaria, la mamma di Jessica, ha urlato contro Alessandro, l’ex fidanzato della figlia, che era in chiesa scortato dalla polizia penitenziaria (è in carcere a Busto Arsizio) apostrofandolo con parolacce. Gli agenti lo hanno allontanato per evitare che la situazione degenerasse. Alla fine della celebrazione, la mamma di Jessica ha avuto un mancamento. Mentre il papà, Stefano, è rimasto sempre defilato. A funzione conclusa, tiene però a sottolineare che «sarà la famiglia a pagare il funerale. Tutti i contributi, anche istituzionali, verranno destinati ad associazioni attive contro la violenza sulle donne».

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