Figli rapiti, bisogna intervenire prima: "Saper cogliere i segnali di pericolo"

Il giudice Fabio Roia: "Sul piano penale risposta insufficiente"

Il giudice Fabio Roia

Il giudice Fabio Roia

Milano, 20 ottobre 2017 - Coppie che si lasciano, figli piccoli contesi. Succede tutti i giorni, naturalmente. Ma se i genitori sono originari di paesi diversi, il rischio ulteriore è che uno dei due prenda l’aereo e se ne torni in patria con i bambini. L’altro resterà solo e di fatto privo di un’efficace tutela, raccontano le storie e i pareri degli esperti della materia. Eventi sempre meno rari, in un mondo nel quale le relazioni sociali e sentimentali tra partner di origine e cultura diversa sfociano talora in conflitti e abbandoni. Il caso raccontato dal Giorno del piccolo “Luca”, il bimbo italo-egiziano di sei anni che il padre ha fatto rientrare in patria mettendolo in braccio a due finti genitori, purtroppo è solo uno dei tanti. 

Giudice Fabio Roia, lei per anni si è occupato di vicende di questo tipo. Quando il genitore di una coppia mista sottrae i figli al partner tornandosene in patria, la giustizia italiana sembra quasi impotente. «Innanzitutto bisognerebbe riuscire a prevenire certe situazioni. Voglio dire che quando esiste conflitto tra genitori di paesi differenti, chi teme conseguenze di questo tipo deve revocare il proprio assenso sul passaporto dei figli. Le persone devono saper cogliere i segnali».

Ma se ciò non avviene o non basta? «In Italia è stato introdotto il reato previsto dall’articolo 574 bis del codice penale, che deroga alla giurisdizione territoriale perché punisce chi sottrae o trattiene i minori anche all’estero, magari dopo una vacanza iniziata con il consenso dell’altro genitore».

Chi è coinvolto in vicende del genere sostiene però che la norma è poco efficace. «In realtà era stata scritta bene, con una pena detentiva prevista nel massimo a 4 anni. In questo modo erano possibili la custodia cautelare in carcere e soprattutto le intercettazioni, in casi del genere molto utili per localizzare un soggetto. Poi però, con la riforma della custodia cautelare che ha innalzato i limiti richiesti - e il mancato adeguamento dell’art. 574 bis in questo senso - tutto ciò non è stato più possibile. Per ovviare al problema, alcune procure contestano al genitore che sottrae i figli il reato di sequestro di persona, che in realtà è configurabile solo in casi particolari. Si può convenire, insomma, sul fatto che sul piano penale la risposta ad oggi è insufficiente».

Che alternativa esiste? «Per la mia esperienza è più soddisfacente lo strumento processuale che si attiva in base alla Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili delle sottrazioni di minori. Vi hanno aderito anche paesi extra Ue e le giurisdizioni locali non hanno una visione necessariamente “domestica”. Voglio dire che ho visto dar torto al genitore cittadino di quel paese persino se si trattava della madre, soluzione cui i tribunali sono di solito poco propensi quando in ballo c’è l’interesse dei minori. Certo l’attivazione del procedimento in base alla Convenzione Aja prevede limiti di decadenza molto ristretti».

Il fattore tempo è importante in questi casi. «È davvero fondamentale, perché se il bambino che è stato sottratto dal genitore si localizza nel nuovo ambiente, il successivo rientro al paese d’origine potrebbe a sua volta essere addirittura causa di un trauma secondario. Il fattore tempo è decisivo come lo sarebbe la capacità di agire sulla prevenzione di questi eventi, l’ho già detto».

Eventi che invece sembrano più frequenti, in questi anni. «Non abbiamo dati precisi in questo senso, ma la tendenza sembra innegabile. Così com’è in aumento, del resto, il numero delle relazioni tra partner appartenenti a paesi e culture diverse.  Speriamo che la tendenza riguardi anche la capacità e la sensibilità nel saper cogliere i rischi che in questo genere di rapporti sono spesso conseguenze di conflitti o abbandoni». 

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