I sogni verticali del «Butch» diventano un racconto

Esce Il libro di Giorgio Spreafico a un anno e mezzo dalla morte dell'alpinista lecchese Marco Anghileri

Marco Anghileri

Marco Anghileri

 Lecco, 14 novembre 2015 - Il ricordo di quel sorriso sincero, la contagiosa simpatia e le imprese è ancora vivo nei tanti che gli hanno voluto bene. A poco più di un anno e mezzo dalla sua scomparsa (14 marzo 2014) ora c’è anche un libro che racconta Marco Anghileri, il grande alpinista lecchese morto a 41 anni mentre portava a termine la prima ascensione solitaria invernale della «via Jori Bardill» al Pilone Centrale del Freney, sul Monte Bianco. Si chiamerà «La scala dei sogni» (Teka Edizioni, 496 pagine, 15 euro) e lo ha scritto un altro lecchese, Giorgio Spreafico, giornalista e scrittore che Marco l’ha visto crescere, affermarsi e diventare «l’ultimo romantico della Grigna», come recita il sottotitolo del libro che sarà disponibile dal 5 dicembre prossimo.

«Ho avuto la fortuna di incontrare il Butch (il soprannome con cui era conosciuto Anghileri, ndr) quando era ancora ragazzo e già prometteva un gran bene - ci racconta Spreafico -. Quindi l’ho visto sbocciare con le sue prime solitarie invernali e i suoi progetti che sembravano stroncati sul più bello da quell’incidente in bici. E poi il ritorno». Per anni da giornalista Spreafico si è occupato di montagna e ha raccontato soprattutto le imprese degli alpinisti lecchesi, dei Ragni e dei Gamma, il gruppo quest’ultimo di cui faceva parte Marco che nei primi anni Novanta è di sicuro l’astro nascente di casa. E con un pedigree che parla da sé: nonno Adolfo aveva scalato con Gigi Vitali, non aveva la sua classe ma l’aria dell’alpinismo pionieristico degli anni trenta l’aveva respirata eccome. E trasmessa al figlio Aldo che aveva messo la sua firma sulla via dei Ragni al Gran Capucin, sul Bianco, e alla prima in invernale sullo Spigolo del Badile insieme agli amici Pino Negri e Casimiro Ferrari - due dei quattro che violarono il Torre nel gennaio 1974, giusto per capirci.

Era stato proprio lui il «Miro» a regalare al «Butch» un moschettone che diceva di aver trovato dopo aver incontrato Aste in Dolomiti. Erano pochi mesi prima della morte del «re» del Cerro Torre e quel regalo, al Meeting della Montagna, valeva come un’investitura di Marco, fresco della prima ripetizione solitaria in invernale alla Solleder in Civetta. Ora Anghileri non c’è più e la cordata lecchese si è spezzata per sempre, non il ricordo di quell’indimenticabile stagione dell’alpinismo di casa, oltre vent’anni che Giorgio Spreafico (al suo decimo libro) ha voluto raccontare con la solita passione, competenza e sensibilità .

«Non ho raccontato solo il grande alpinista, ma anche una persona dalle straordinarie qualità umane, e proprio per questa ragione amata in modo speciale da tanti». Un grande affresco nel quale, con Marco, diventano protagonisti anche la Grigna, le Dolomiti e il Monte Bianco, tutte montagne che lui ha sempre amato. Un amore che il «Butch» non faceva fatica ad esternare come quella maglietta che si era fatto e su cui si leggeva: «Credo di aver trovato dentro di me uno dei regali più belli, una passione».