Le confessioni di un (ex) prete gay: "Umiliato dalla Chiesa che amavo"

Prima del teologo fece outing un lecchese. "E tentarono di curarmi"

Mario Bonfanti ora ha 44 anni

Mario Bonfanti ora ha 44 anni

Merate (Lecco), 9 ottobre 2015 -  Prima del coming out del teologo polacco 43enne della Congregazione della dottrina della fede, monsignor Krzysztof Charamsa, sulla propria omosessualità e sulla relazione con un compagno, a fare outing ci aveva pensato don Mario Bonfanti, ex sacerdote di 44 anni originario di Merate, che nel 2012 è stato scomunicato.

Possiamo chiamarla ancora don Mario?

«Sì, sono sempre un don, non cattolico, ma della Metropolitan community church di Los Angeles, una chiesa che con una dozzina di collaboratori sto cercando di aprire anche in Brianza e a Milano».

Cosa ha pensato quando ha visto l’intervista di monsignor Charamsa?

«Sono felice per lui, ho anche messo la sua foto come immagine del mio profilo Facebook. Non nascondo però che ho pure sorriso, lui faceva parte del Sant’Uffizio che contro di me ha istituito un procedimento canonico. Ma non importa, sono solo contento per lui che ha trovato il coraggio».

Papa Francesco cambierà l’atteggiamento dei cattolici verso i gay?

«Forse dimostra più rispetto di altri, ma all’atto pratico si comporta come loro, ha immediatamente licenziato monsignor Charamsa e contro i transgender ha utilizzato parole aberranti».

Ha faticato per diventare prete, è dovuto andare fino in Sardegna per essere ordinato sacerdote, eppure conosceva le posizioni della chiesa cattolica...

«Quando sono stato ordinato, nel 2000, sapevo di essere omosessuale, lo sapeva anche il vescovo che mi ha ordinato, ma non era proibito ordinare preti gay. Il problema poi non sussisteva perché avevo scelto il celibato. Solo dopo ho trovato un compagno. Inoltre non avevo altre possibilità per diventare prete, non conoscevo altre confessioni religiose».

È stato difficile dichiararsi gay e lasciare la chiesa cattolica?

«Ho sofferto molto ed è stato umiliante, i miei superiori volevano «curarmi» come se l’omosessualità fosse una patologia. Non è stato semplice nemmeno per i miei genitori che sono molto devoti. A mia mamma, che distribuiva la Comunione e faceva la catechista è stato chiesto di scegliere: o me o la parrocchia».

Adesso cosa fa?

«Per mantenermi opero come libero professionista. Sono un life coaching e un mediatore familiare, tengo corsi e seminari».

Si arriverà mai alla parità di diritti tra omosessuali e eterosessuali in Italia e nella chiesa cattolica?

«Non ci sono solo i diritti, esistono anche i doveri, altrimenti sarebbe troppo comodo, lo ribadisco sempre. Certamente io non sarò più vivo quando non sussisteranno più distinzioni».