Sebastiano, sportivo dal cuore d’oro. Quei sogni infranti in gita sull’Adda

Bergamo sotto choc per la morte del diciottenne giocatore di baseball di Rocco Sarubbi

Sebastiano Chia

Sebastiano Chia

Bergamo, 14 agosto 2015 - Fino all'ultimo ha sperato che la vittima dell’incidente in canoa, accaduto ieri mattina nelle acque dell’Adda, non fosse il “suo” Sebastiano, 18 anni (martedì prossimo ne avrebbe compiuto 19). E invece purtroppo era proprio lui, l’esterno destro con la maglia numero 13 che giocava nella squadra cittadina di baseball Wall. Un colpo per l’allenatore Andrea Ravasio. «Dopo un paio di telefonate, purtroppo è arrivata anche la certezza». Era proprio Sebastiano Chia il ragazzo morto mentre, assieme ad altri otto amici del Gruppo scout di Bergamo, cercava di scendere il fiume Adda a tappe.

Il gruppo era partito da Cassano d’Adda nei giorni scorsi e aveva intenzione di arrivare a Cremona, meta finale del viaggio. La notte precedente avevano alloggiato all’oratorio San Luigi di Pizzighettone, da dove sono partiti dalla frazione Gera d’Adda, sponda lodigiana. E invece, poco dopo, Sebastiano è stato risucchiato dalla corrente che in quel punto era molto forte. La sua canoa si è incastrata in una chiusa e si è ribaltata. Nonostante indossasse il giubbotto salvagente, il ragazzo è finito sott’acqua. Il capo scout si è tuffato nel tentativo di soccorrerlo, ma la corrente del fiume ha avuto la meglio.

«Il fatto che Sebastiano indossasse il salvagente dimostra le sue qualità - racconta Andrea Ravasio -: un ragazzo con la testa sulle spalle, molto responsabile, cauto. Per questo dico è stata proprio una disgrazia, un incidente». Sebastiano viveva con la sorella diciassettenne e i genitori - il papà Francesco è neurologo all’ospedale Mellini di Chiari, la madre catechista alla Campagnola - in via Ferruccio dell’Orto. Impegnato a scuola, nello sport e nella vita di tutti i giorni. Come studente, si era appena diplomato al liceo scientifico Lussana di Bergamo (la sua classe era la quinta G) con una tesina sul flauto. Aveva anche partecipato alle olimpiadi di fisica e di matematica che ogni anno si contendono i ragazzi degli istituti italiani.

Finite le superiori, cullava un sogno. «Un giorno, parlando anche con gli altri compagni di squadra - continua l’allenatore - aveva detto che gli sarebbe piaciuto diventare veterinario. Era impegnato anche nel volontariato. So che spesso accompagnava dei ragazzi disabili in piscina e dava loro una mano, inoltre frequentava gli scout. Aveva un fisico da atleta. Era arrivato qui da noi sei anni fa e io l’ho allenato negli ultimi tre anni. Sempre puntuale agli allenamenti, faceva gruppo. Non fumava e ogni tanto si concedeva mezza birra, tutti assieme, ma bisognava convincerlo». Ravasio stenta ancora a crederci. «Era proprio un ragazzo irreprensibile. Cosa faremo per ricordarlo? Sicuramente giocheremo le prime partite di campionato con il lutto al braccio e poi toglieremo la sua maglia, quella con il 13, in sua memoria».