Montichiari, bresciano ucciso a Santo Domingo: "Voleva tornare da noi"

Lo sgomento dei parenti dell’uomo, vittima di una rapina violenta nella casa ai Caraibi

I parenti di Giuzzi mentre rientrano a casa

I parenti di Giuzzi mentre rientrano a casa

Montichiari (Brescia), 3 febbraio 2018 - Un uomo «onesto, solare, umile, gran lavoratore», scrive di lui su Facebook Sara. «Ciao Vittorio, la tua colpa è di essere stato troppo buono», dice invece Lucia. Vittorio Giuzzi, 75enne di Montichiari che da molti anni si era trasferito a Santo Domingo per coltivare caffè, mango e fagioli, adorava il silenzio, la campagna e la terra. E laggiù, in una piccola casa tra i monti dei Caraibi, ha trovato la morte.

Una banda di rapinatori la notte tra il 31 e l’1 febbraio ha assaltato la sua abitazione e lo ha ucciso a bastonate. «Non riesco ancora a crederci - racconta Miriam, una delle nipoti, sotto choc, mentre fuori dalla sua villa gialla i vicini si affacciano per farle le condoglianze -. La Farnesina giovedì ha avvisato i suoi figli e poi l’abbiamo saputo anche noi. Per me zio Vittorio era un secondo padre». E’ stata lei, Miriam, a diffondere per prima la notizia della morte con un post su Facebook: «Non è possibile che la vita non abbia più valore, non si può morire di botte per un furto, per invidia, per cattiveria, per niente! Mi mancherai tantissimo, buon viaggio zio Vittorio».

Nato in una famiglia con 18 figli di cui solo dieci riuscirono a sopravvivere (lui era il diciassettesimo e la madre fu premiata in persona da Mussolini per avere contribuito alla crescita demografica del Paese), Vittorio da giovane aveva fatto il contadino e poi l’autotrasportatore. Padre di tre figli che oggi vivono in Svizzera, dove lavorano come muratori, dopo il fallimento del primo matrimonio aveva trovato una nuova compagna, la signora domenicana che lo aiutava con i lavori domestici. Una volta raggiunta l’età della pensione, circa 15 anni fa, aveva venduto le sue proprietà a Montichiari, si era imbarcato con lei su un volo per Santo Domingo e laggiù, sulle terre della consorte, si era costruito una bella casa in paese. Si dedicava a un suo vecchio amore, la coltivazione dei prodotti della terra. Mango, caffè, legumi.

«Tornava spesso da noi a Natale e per le feste - ricorda il nipote Massimo Senini, imprenditore nell’omonima azienda di mattoni a Novagli e figlio di Amalia, una dei tre fratelli Giuzzi rimasti in vita su dieci - Era una persona buona e generosa mio zio. Sempre con la luce negli occhi. Ai tre figli della compagna aveva dato il suo cognome, amava quella famiglia allargata». Di recente era diventato nonno ed era cambiato. «Ci aveva detto che intendeva tornare in Italia per stare più vicino al nipotino, diceva che aveva gli ultimi affari da sistemare e poi a breve avrebbe mollato Santo Domingo».

I piani di Vittorio però non sono riusciti a compiersi. Amici e parenti lo descrivono come un mite che non covava rancori e non fomentava le discussioni. In cerca di tranquillità, di recente aveva lasciato la sua casa in centro al paese caraibico per trasferirsi nell’entroterra, lontano dalla folla, in una piccola abitazione in legno sperduta tra le coltivazioni. «Dormo qui con il mio cane e sto benone, ma per sicurezza mi tengo vicino un machete. Non si sa mai», aveva riferito ai parenti. Ma l’arma non gli è servita a salvarlo.