Omicidio Seriate, la sfida del marito di Gianna: "Datemi l’assassino e ci penso io"

Per la morte della moglie Tizzani è l’unico indagato. Ma lui rilancia

DRAMMA Antonio Tizzani e Gianna Del Gaudio Sotto militari del Ris nel giardino della casa

DRAMMA Antonio Tizzani e Gianna Del Gaudio Sotto militari del Ris nel giardino della casa

Seriate (Bergamo), 26 marzo 2017 - «Starò meglio quando mi daranno in mano quel disgraziato che ha ucciso mia moglie. L’ho detto ai carabinieri il primo giorno: mettetemelo davanti. Poi ci penso io». Mario Tizzani si mostra combattivo, determinato. Parla a ruota libera come per abbandonarsi a uno sfogo.

Tranquillo, signor Tizzani? 

«Sono sempre tranquillo. Quando uno non commette niente di male può soltanto essere tranquillo. Continuo a farmi delle domande. Mettetevi nei panni miei. Che motivo c’era? Perché ha fatto questo? Ce l’aveva con lei? Ce l’aveva con me? Perché mia moglie non ha gridato? Perché non mi ha chiamato? Penso a quella zanzariera».

La zanzariera?

«Tre o quattro anni fa ho messo una zanzariera blindata, l’avevo comprata alla fiera di Bergamo. Mia moglie si voleva proteggere e nello stesso tempo voleva che l’ambiente di casa rimanesse aperto. La chiudeva. Invece è stata trovata aperta. Mia moglie si chiudeva dentro. Perché quella sera non l’ha fatto? Magari ha visto dall’altra parte del giardino qualcuno che conosceva. “Gianna, mi apri?“, le avrà detto. Per me è successa una cosa del genere».

Lei ha parlato da subito di un assassino incappucciato.

«Una persona con il cappuccio di una felpa. Non si vedeva niente. L’ho detto anche ai giornalisti: fate una prova, non si vede niente».

Però le telecamere non l’hanno ripreso.

«Dico una cosa: ma dove sono le telecamere? Leggo sui giornali che le telecamere non ci sono. Manco una».

E poi c’è quel cutter con la lama sporca del sangue di sua moglie.

«Hanno trovato un coltello. Non veniva da casa mia. Per niente. E non c’è il mio Dna. Come mai si trovava lì quel coltello?».

Come ha vissuto questi mesi?

«Sa cosa significa vedersi togliere la compagna della vita? Lei aveva sedici anni e io ventuno quando ci siamo messi assieme. Dieci anni dopo ci siamo sposati. Siamo venuti ad abitare a Seriate. Poi Treviglio. Poi Cremona. Da Cremona sono riuscito a tornare a Bergamo. Ci insegnavamo a vicenda, questo si fa così, quest’altro si fa così. Anche se era lei alla fine a fare tutto. Adesso era il momento di godercela un po’, di goderci la vita. Siamo sempre andati d’accordo, salvo i piccoli litigi che sono normali in una coppia, cose non serie, ci si vuole bene anche quando si litiga. E invece guarda cosa è successo. Nessuno poteva volere male a mia moglie. Nessuno».

È rientrato nella sua abitazione?

«Potrei farlo perché sono stati tolti i sigilli, ma non lo faccio perché il consulente della difesa, il dottor Portera, deve fare un sopralluogo. Alloggio in un altro appartamento, fuori Seriate».

Dove?

«Se proprio vuole che glielo dica abito a Pedrengo».

Che cosa la sostiene?

«Mi dà forza la speranza di vedere in faccia quel delinquente. Poi, magari, il giorno dopo vado a raggiungere mia moglie. Sono già infartuato, due botte al miocardio che ho avuto nel 1984. Il 12 maggio 1984 ho rischiato di morire come il dottor Zivago. Avevamo visto il film qualche sera prima. Il dottor Zivago muore d’infarto mentre è sul tram. Ho rischiato di fare la stessa fine. Mi ha salvato mia moglie, ha chiamato subito l’ospedale. Aveva capito tutto. Io pensavo che fosse l’ulcera».