Perché i calciatori e altri sportivi si mettono in ginocchio? Ecco com'è nata la protesta

La mobilitazione antirazzista è scattata sui campi del football americano Usa nel 2016

Colin Kaepernick

Colin Kaepernick

Perché gli sportivi s'inginocchiano prima dell'inizio di un match? Che cosa vogliono manifestare? E quando è nata questo originale mobilitazione? Sta facendo discutere quanto è accaduto ieri, domenica, prima del fischio d'inizio di Italia-Galles, match finale del girone azzurro agli Europei, quando tutti i giocatori titolari della Nazionale del Dragone si sono inginocchiati, mentre fra i colleghi dell'Italia hanno scelto di manifestare la loro adesione all'iniziativa anti-razzista solo Belotti, Emerson Palmieri, Toloi, Pessina e Bernardeschi. Un moto di protesta che ha attraversato sport e nazioni, avendo come scintilla la battaglia contro il razzismo e la discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti.

Take a knee

Il nome scelto per la mobilitazione è "take a knee" (in italiano, mettersi in ginocchio) e ha fatto la sua prima comparsa su un campo della lega professionistica Usa di football americano, la Nfl, nell'agosto del 2016. A ideare la protesta è stato un giocatore dei San Francisco 49ers, una delle squadre più note del campionato, il quarterback Colin Kaepernick. L'atleta, che dopo la fine del suo contratto con il club californiano non ha più trovato posto in alcuna squadra - un ostracismo che secondo lo stesso giocatore ha a che fare con le sue posizioni politiche - ed è fermo dal 2017, iniziò a restare seduto durante l'esecuzione dell'inno nazionale americano precedente i match, invece di alzarsi in piedi.

All'inizio il suo gesto passò inosservato. Successivamente Kaepernick e un compagno di squadra afroamericano, Eric Reid, dopo essersi confrontati, decisero di inginocchiarsi, invece che rimanere seduti. Questo perché volevano trovare un metodo di protesta che non fosse potenzialmente offensivo per i militari, come poteva essere, invece, rimanere seduti. A quel punto il loro gesto iniziò ad attrarre l'interesse di altri giocatori e dei media, diffondendosi in tutti gli stadi della Nfl. 

Perché ci s'inginocchia

Inizialmente la mobilitazione fu spiegata come una reazione al razzismo nei confronti degli afroamericani negli Stati Uniti, ma anche come una protesta nei confronti di episodi di violenza da parte delle forze dell'ordine, sempre contro uomini e donne nere. Piegarsi su un ginocchio successivamente divenne uno dei simboli del "Black lives matter", il movimento nato in rete nel 2013 dopo l'assoluzione di un uomo accusato di aver ucciso a colpi di pistola un minorenne afroamericano ed affermatosi l'anno successivo dopo i decessi di altri due persone, Michael Brown (raggiunto da uno sparo) ed Erik Garner (soffocato), morti causate da agenti di polizia.

Nel momento in cui si è saldato con le istanze di "Black lives matter", l'atto di inginocchiarsi è uscito dagli stadi del football americano per "invadere" i campi di numerose altre discipline sportive. Non solo. Molti dei partecipanti alle manifestazioni contro discriminazioni razziali, xenofobia e violenza della polizia fecero del mettersi in ginocchio uno dei momenti più importanti dei loro presidi e cortei. E nel 2020 60 agenti si inginocchiarono, in segno di rispetto, davanti alle persone che chiedevano giustizia per George Floyd, il camionista di 46 anni soffocato da un poliziotto che, durante le operazioni d'arresto, gli mise un ginocchio sul collo. 

La polemica con Trump

Nel 2017 l'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump attaccò duramente i giocatori che si inginocchiavano, sostenendo che i presidenti delle squadre della Nfl avrebbero dovuto licenziare gli atleti dei loro team che avessero scelto di aderire alla mobilitazione. I sostenitori del tycoon aggiunsero ulteriore sale alla polemica, convinti che l'atto di inginocchiarsi fosse "irrispettoso della bandiera". Accuse poco fondate che furono, ovviamente, respinte dagli atleti, che trovarono appoggio nel predecessore di Trump, Barack Obama. Sempre nel 2017 anche gli sportivi bianchi iniziarono a inginocchiarsi per dimostrare il loro sostegno alla causa dei colleghi afroamericani e a tutto il movimento antirazzista. Il primo a farlo fu il giocatore di un'altra squadra di football americano, Seth DeValve dei Cleveland Browns.

Dal football americano agli altri sport

La prima a importare il gesto d'inginocchiarsi in un altro campo fu la calciatrice della Nazionale degli Stati Uniti Megan Rapinoe, nel settembre 2016, spiegando la sua scelta come un atto di solidarietà verso Kaepernick e "tutto quello che è giusto fare adesso". Fuori dagli Stati Uniti, nell'ottobre del 2017, giocatori e staff tecnico dell'Hertha Berlino, squadra tedesca che allora aveva in rosa numerosi atleti provenienti dagli Usa, s'inginocchiarono per manifestare il loro sostegno alla causa antirazzista.

Nel maggio 2020 Marcus Thuram, attaccante del Borussia Monchengladbach e figlio di Lilian Thuram, l'ex difensore di Parma e Juventus da sempre in prima linea nell'esprimere opinioni a favore delle minoranze e dell'integrazione fra le diverse etnie, si inginocchiò dopo aver realizzato un gol contro l'Union Berlino. Sulle prime la lega calcio tedesca annunciò l'avvio di un'inchiesta per verificare eventuali irregolarità nel comportamento della giovane punta francese. Seguì una rapida marcia indietro quando il presidente della Fifa Carmine Infantino dichiarò che il gesto di Thuram meritava un applauso. Nel giugno 2020 il Liverpool postò sui suoi canali social una foto della rosa dei Reds in ginocchio con la didascalia "Unity is strenght. #blacklivesmatter". Sempre nello stesso mese, alla ripresa della Premier League, i ventidue giocatori delle squadre in campo s'inginocchiarono prima del fischio d'inizio.

Nel baseball Usa, dopo che nel 2017 Bruce Maxwell degli Oakland Athletics si era inginocchiato prima dell'inno, guadagnandosi l'applauso dei suoi supporter, il 2020 è stato l'anno di massimo sostegno al "take a knee". Nella giornata d'apertura i giocatori di tutte le squadre s'inginocchiarono tenendo in mano un nastro nero. Sulle casacche portavano toppe con gli slogan "United for change" (Uniti per il cambiamento) e Black Lives Matter. 

Lo stesso fecero i giocatori dell'Nba, la lega professionistica di basket, insieme ad allenatore e arbitri, nella prima giornata delle finali giocate nella bolla anti-covid. In quell'occasione fu eseguita una versione dell'inno americano in cui erano stati inseriti elementi di musica rap. Uno "strappo" rispetto alle regole del contratto collettivo della Nba, secondo il quale i giocatori sono obbligati a rimanere in piedi durante l'inno (anche se il commissioner Adam Silver diede in qualche modo via libea alla protesta, sostenendo che la norma poteva essere accantonata in occasione di richieste riguardanti temi di particolare interesse collettivo). 

E arriviamo agli Europei dove si sono inginocchiati i gallesi, gli italiani (a metà) e i belgi. I russi, invece, hanno deciso di rimanere in piedi. C'è poi il caso Francia: i galletti di Deschamps avevano manifestato la loro intenzione di mettersi in ginocchio, ma hanno fatto marcia indietro in seguito alle polemiche scatenate da esponenti dei partiti di destra.