
Il coach milanese sbarca in Eurolega dopo l’ottima esperienza a Trento "All’estero si giudica diversamente. Vorrei in Italia le strutture della Spagna".
Il suo ferragosto, Paolo Galbiati lo passerà nei Paesi Baschi, a Vitoria-Gasteiz dove ha appena firmato il contratto per allenare la prima volta in Eurolega. Lo farà al Baskonia, storica squadra spagnola che fatto della scoperta dei talenti la sua missione, sempre di più negli ultimi anni (ha appena acquistato il 22enne azzurro Matteo Spagnolo). Calza a pennello la firma del milanesissimo Paolo Galbiati che ha fatto del lavoro coi giovani uno dei suoi marchi di fabbrica.
La scelta coraggiosa di lasciare Trento è stata premiata, cosa cerca da questa avventura all’estero? "Non è solo estero, è il Baskonia. Nei miei sogni non era immaginabile così velocemente, invece sono qui. È bellissimo. L’estero è una sfida, culture diverse, persone che non hai mai visto che diventeranno abitudine. Tanti colleghi che hanno allenato fuori mi dicono che è un modo diverso di vivere la nostra professione, si viene giudicati solo per il lavoro".
Non un posto qualsiasi, esordio in Eurolega, il torneo più bello che c’è, ma che ti stritola, come si pone? "Partiamo da 72 partite tra campionato e Coppa, sapendo che ne vogliamo giocare molte di più. Ci siamo prefissati idee, metodo di lavoro, gestione dei minutaggi, poi sappiamo che tanto la stagione li stravolgerà. Vogliamo portare i ragazzi tutti nella miglior condizione anche per lo stile di gioco con rotazione veloce che voglio applicare".
L’ACB è il campionato europeo più competitivo, il Baskonia ha faticato ultimamente. Perchè l’hanno scelta? "Penso di averli convinti per lo stile di gioco, spero che abbiano riconosciuto la fame e il desiderio di voler crescere, fare bene e godere di ogni momento di questa avventura. Sviluppare giocatori è una delle cose che certamente mi piace di più. Poi, come è giusto che sia, conteranno anche i risultati".
Cosa l’ha subito colpita in questa nuova realtà? "Le strutture sono impressionanti, la Buesa Arena fantastica, la facility di allenamento è un posto speciale. Fuori dal basket, quanto sia pulita la città, di quanto rispetto abbiano per la loro terra".
Come lascia l’Italia? Cosa le piacerebbe ritrovare migliore quando tornerà? "Lascio l’Italia come tutti gli italiani, andare via è difficilissimo. Ora ti rendi conto delle tante comodità che si perdono, ma con una valigia piena di sogni e le farfalle nello stomaco. Quando tornerò vorrei che tutte le società potessero avere delle strutture come qui in Spagna e che si trovi un modo per dare spazio ai tanti giovanissimi in rampa di lancio".
Cosa direbbe al piccolo Paolo che vent’anni fa smette di giocare e inizia ad allenare? "Vai avanti a testa bassa, lavora e prova ad essere sempre la miglior versione di te stesso. Impara dagli errori, tanto ne farai. Si cambiano tante strada, il minibasket non sarà per sempre, neanche le giovanili, ma tutto sarà decisivo. Continua a sognare, non ascoltare quelli che ti diranno che non potrai fare delle cose. Sappi osare".
Se si dovessero dare due aggettivi al suo Baskonia, quali preferirebbe? "Una squadra aggressiva e che sappia interpretare il “Caracter Baskonia“, come scritto davanti alla porta che dà al campo. Il popolo basco è molto fiero, tosto, pugnace. Il mio Baskonia lo vorrei proprio così".
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