Grignani, anima rock e provinciale "Ora vivo con due giraffe in salotto"

Il cantautore dopo la separazione non ha voluto lasciare la sua amata San Colombano: le mie radici sono qui

Andrea

Spinelli

o non faccio rock, io sono rock" assicura Gianluca Grignani. "Non me lo dico certo da solo, però quando la gente me lo fa notare sono contento. Anche se io faccio la musica che mi fa stare bene e basta, senza etichette". E se il rock’n’roll è il mood di quelli allergici alla vita facile, lui è un campione olimpionico della specialità. Basta vedere le vicende a cui è andata incontro la grande casa sul picco del Belfuggito a San Colombano negli ultimi anni. Dopo la separazione dalla moglie Francesca Dall’Olio, l’eroe de “La mia storia tra le dita” aveva deciso infatti di mettere in vendita quel buen retiro immerso nei vigneti. Poi però il legame con i luoghi e le persone s’è fatto sentire e la determinazione ha iniziato a flettere. "Nell’uragano in cui mi sono infilato, solo ora comincio a trovare la rotta" ammette Gianluca, che da trentott’anni continua ad essere Grignani nonostante Grignani. "In questo l’esperienza di Sanremo con Irama è stata importante, perché, sinceramente, non pensavo che la gente reagisse con tanto affetto, che mi adorasse così tanto".

Alla fine, la casa se l’è tenuta.

"Prima ci vivevo con tutta la famiglia, ora è il mio ufficio e il centro del mio mondo. L’ha disegnata attorno al 1970 un architetto nato agli inizi del Novecento affidandosi a concetti particolari; enorme e con degli angoli solari stranissimi. Io l’ho sistemata su misura per i miei bisogni. In soggiorno, ad esempio, ho collocato due ‘giraffe’ con altrettanti microfoni che pendono dall’alto pronti per l’utilizzo".

Come l’aveva trovata?

"Nei miei sogni c’è sempre stata una casa sulla collina. Francesca mi fece notare che questa si trovava tra le province di Pavia, Lodi, Milano e Piacenza vicino a quella di mio zio dove passavo i miei fine settimana di bambino. Mio nonno paterno, infatti, era di Caselle Lurani e gran parte dei miei parenti è cresciuta qui. Visto che da parte di madre, invece, ho parenti emiliani, l’edificio si trovava esattamente al centro delle mie origini. Tant’è che, come l’ho visto, me ne sono innamorato immediatamente. Ricordo che quando ho fatto il rogito non avevo un euro e la banca mi accese un mutuo praticamente sulla fiducia. L’ho pagato fino a non molto tempo fa...".

Quando ha sentito il bisogno di evadere dalla città?

"Io rimango un uomo di città. Anche se, abitando nella periferia della metropoli, fin da bambino ho sognato la campagna. I grandi spazi. Ricordo ancora quando, all’età di sei anni, vicino ad una malga dell’Adamello iniziai a cercare stelle alpine. Me ne andai da solo verso l’ignoto senza avvertire nessuno e quando i miei, preoccupatissimi, stavano per chiamare la forestale, riapparvi stringendone una nella mano".

Amante della montagna?

"Sì, dell’aria aperta e dello sport; ne ho fatto tanto, compresi pugilato e tennis, ma dopo essere stato investito dal treno della musica ho mollato tutto".

Perché?

"Perché quella per la musica è una passione totalizzante. Come un nerd, in questi anni mi sono buttato sullo studio dei software, per poter avere sotto controllo tutto il processo produttivo delle mie canzoni, dalla composizione alla realizzazione, senza dovermi affidare più di tanto agli altri. E poi, ovviamente, c’è lo studio della chitarra, indirizzato verso la ricerca dei segreti dei grandi bluesmen come BB King, perché pure io vengo da lì".

Un piede fuori dalla città l’aveva messo già a 18 anni quando da Precotto si trasferì in Brianza, a Correzzana.

"Già, vivevo in un agglomerato residenziale popolato da gente che pretendeva di essere ricca e forse lo era a giudicare da atteggiamenti molto diversi da quelli che vedevo in famiglia. Mettendomi a disagio, la cosa mi spingeva a starmene lontano gran parte del tempo, anche se i miei primi brani li ho scritti quasi tutti lì, nel garage di casa. Prima nel mio bagaglio avevo messo solo un paio di canzoni, compresa quella ‘Fanny’, composta a 14 anni per una diciottenne che mi lasciava e mi riprendeva in continuazione facendomi sentire come una trottola. Prima di allora avevo composto solo un altro pezzo, che non ho mai pubblicato anche se alcune idee sono poi finite nella ‘Il topo mangia il gatto’ scritta assieme a Francesco Baccini".

Come si vede tra dieci anni?

"Un tempo riuscivo a vedermi proiettato verso il futuro con estrema nitidezza. Oggi, meno. Ma quella figura sfocata in lontananza sono io e questo significa che fra dieci anni avrò ancora un ruolo. Adoro l’incertezza, perché fa parte del mio animo rock’n’roll e mi costringe ad essere completamente dedito a quel che faccio. Anche se ha le sue brave controindicazioni".