Fiducia Gattuso, ritrova Suso e Musacchio

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Rino Gattuso

Rino Gattuso

Milano, 17 dicembre 2018 - Gli ha guardato le spalle per una vita: domani, però, non potrà avere riguardi, perché non è che se la passi tanto meglio del collega che siede sulla panchina rossoblù. Anzi, forse pure peggio, se è vero che le voci su un suo esonero si susseguono dall'estate: ovvero da quando il Milan ha cambiato proprietà. Bologna-Milan sarà anche, se non soprattutto, Filippo Inzaghi contro Gennaro Gattuso: due panchine in bilico. Chi perde rischia, chi vince potrebbe una spallata decisiva a un caro amico. SuperPippo e Ringhio: così diversi eppure con tante cose in comune. A partire dal Milan, dove sono stati compagni di squadra e di successi dal 2001 al 2012. Per continuare con la nazionale. Insieme hanno vinto praticamente tutto: 2 scudetti, 2 Champions League, 2 Supercoppe Italiane e altrettante europee, una Coppa Italia, un mondiale per club fino al mondiale con la maglia azzurra nel 2006. Il Milan ha segnato entrambi pure come allenatori: Inzaghi ha guidato Allievi e Primavera tra il 2012 e il 2014, per poi passare in prima squadra nel 2015, scottarsi, e ripartire dalla gavetta. Gattuso dalla panchina della Primavera rossonera è ripartito nel 2017, dopo le esperienze al Sion, Palermo, Creta e Pisa, queste ultime due avventure condizionate da problemi societari. Come pure la stagione passata di transizione in casa Milan.

Complicata è pure l'annata attuale. A causa degli infortuni, multe al club, fair play finanziario che ha condizionato e potrebbe condizionare le mosse del club sul mercato. In un mare burrascoso, comunque, Ringhio ha tenuto la barra dritta e il Milan in linea fin qui con l'obiettivo Champions. Eppure è sotto la lente di ingrandimento. Se la passa anche peggio Inzaghi, terzultimo, messo in discussione dopo il ko di Empoli. Doveva essere l'immagine della ripartenza rossoblù, fin qui rappresenta l'emblema di un progetto che non riesce a decollare e rischia di deragliare. Il deragliamento lo ha rischiato lo stesso Inzaghi in settimana, con un post sui social in cui se l'è presa con i presenti gufi e la negatività. La squadra l'ha difesa sempre, anche eccedendo e rifiutandosi di guardare in faccia la realtà, con letture post partita apparse talvolta ardite e pure chiedendo alla società di sospendere la misura del ritiro adottata dopo il ko di Genova con la Sampdoria.

Lui che da calciatore viveva da solitario uomo del gol, da tecnico è divenuto uomo squadra. Pure troppo, a volte. Uomo squadra per eccellenza, in campo, lo era Gattuso. CORREVA per tutti, difendeva tutti, ci metteva cuore, polmoni e faccia: sempre. Generoso, duro, sporco e cattivo, agonisticamente parlando. Ma leale. E' stato amato da tutti i suoi compagni. In primis da Ibrahimovic, che estremizzando il concetto, una volta rilasciò questa battuta su Ringhio: «Dovessi andare in guerra, sarebbe il primo che vorrei al mio fianco». Leale lo è rimasto anche da allenatore. Leggere per credere le dichiarazioni rilasciate dopo il ko di Atene e l'uscita dall'Europa League a chi cercava colpe arbitrali: «E' stato giusto andare a casa, non ci meritavamo di passare il turno al netto di possibili errori arbitrali». Così diversi eppure con tante cose in comune: in primis la panchina che scotta. SuperPippo e Ringhio saranno domani sera uno davanti all'altro con l'impossibilità di concedersi sconti. 

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