Carugate, operai della Ceme pronti alla battaglia: chiusura assurda, l’azienda ci ripensi

L'assemblea in fabbrica dopo l'annuncio choc della proprietà. A rischio 97 posti di lavoro

Il vertice fra lavoratori e sindacati

Il vertice fra lavoratori e sindacati

Carugate (Milano), 8 giugno 2017 - E' muro contro muro. Da una parte Ceme, colosso italiano nella produzione di valvole di sicurezza per elettrodomestici, dall’altra i 97 lavoratori sul libro paga dell’azienda, che martedì hanno ricevuto il benservito. "Di punto in bianco, senza alcun tipo di confronto", fanno sapere Fim e Fiom. Domani le tute blu dello stabilimento di Carugate incroceranno le braccia per due ore. Una misura che verrà messa in atto anche dai colleghi di Trivolzio, nel Pavese, e da quelli di Tarquinia, in provincia di Viterbo. Il timore di un licenziamento collettivo era nell’aria. Eppure l’azienda prima d’ora non ne aveva mai parlato apertamente.

Fino all’ultimo confronto tra parti sociali e proprietà e, al tavolo di Assolombarda, la parola esuberi non era mai stata pronunciata. Ora la doccia gelata, che mette spalle al muro 90 operai e sette impiegati. Per i manager, "la mobilità è una misura necessaria per continuare a occupare la porzione di mercato che il marchio si è ritagliato negli anni". In una nota, la dirigenza ha fatto sapere che il lavoro svolto sino a oggi nei capannoni dietro ai cancelli di viale delle Industrie verrà affidato in toto a terzisti "di provata fiducia a cui ci rivolgiamo da tempo". A mancare, dunque, non sono le commesse, fanno notare i sindacati. Un atteggiamento ingiustificabile per le parti sociali, che annunciano battaglia, pronte a trascinare la società in tutte le sedi possibili, pur di salvaguardare fabbrica e maestranze. Priorità assoluta: "Il ritiro della procedura appena annunciata", hanno aggiunto, ieri, dopo l’assemblea con i lavoratori. I guai per i dipendenti Ceme sono cominciati all’inizio dello scorso anno, quando lo stabilimento di via San Francesco a Brugherio, che impegnava 60 persone, ha spento le macchine. Era la spia di una prima riorganizzazione. Metà era stata dirottata proprio a Carugate, gli altri, invece, spediti a Trivolzio.

Operai costretti a sobbarcarsi ogni giorno 120 chilometri in pullman, tra andata e ritorno, pur di avere uno stipendio a fine del mese. A rileggerle oggi, le parole di Andrea Ricci della Fim, attivo da allora sulla vertenza, non solo sembrano profetiche, ma tornano di attualità: "I trasferimenti somigliano a licenziamenti mascherati - diceva -. La decisione della dirigenza non è stata dettata dalla crisi economica o dalla mancanza di ordini: il lavoro c’è, ma la proprietà ha deciso di terziarizzare una parte importante della produzione". Ora, con il disimpegno su Carugate, il cerchio sembra chiudersi. Lo scorso inverno lo spostamento forzato aveva innescato la reazione dei lavoratori. In quelle settimane la direzione aveva fatto digerire la manovra definendola "necessaria per mantenere i livelli occupazionali". Affermazioni che adesso hanno il sapore della beffa.