Trapianti, le famiglie dei donatori: "Chi si è salvato deve conoscerci"

Lecco, la battaglia di Marco Galbiati che ha perso il figlio nel 2017 rilanciata dal papà di Nicholas Green

Marco Galbiati con Reginald Green a Casatenovo

Marco Galbiati con Reginald Green a Casatenovo

Dare la possibilità, a chi riceve un trapianto di organo, di conoscere i familiari del donatore. A chiederlo rivolgendosi agli italiani, alla vigilia dell’anniversario della morte del figlio, è Reginald Green, papà di Nicholas, il bambino americano ucciso in Italia il 29 settembre 1994. L’appello rivolto agli italiani attraverso una lettera ai giornali, viene accolto dal viceministro della Salute: «la liberalizzazione dei contatti tra riceventi e donatori - afferma Sileri - è un gesto di umanità e civiltà». In attesa che la Camera esamini la proposta ancora ferma, Marco Galbiati, il papà lecchese che ha raccolto 50.000 firme con una petizione per chiedere di poter conoscere chi ha ricevuto il cuore del figlio Riccardo, morto nel 2017, dà ancora voce alla richiesta. 

Lecco, 29 settembre 2020 - Come Reginald Green anche Marco Galbiati lotta da anni per poter conoscere le persone che hanno potuto continuare a vivere grazie alla donazione degli organi del figlio Riccardo, ragazzo lecchese di 15 anni che sognava di diventare chef, scomparso il 2 gennaio 2017 dopo un malore che l’ha costo sulle piste di sci dell’Aprica. La legge non lo permette, ma grazie a un messaggio anonimo Galbiati è riuscito a incontrare almeno uno dei riceventi. Molti sollevano dubbi sugli aspetti negativi che questa possibilità può comportare senza mediazione. L’anonimato rappresenterebbe una sorta di tutela anche per le famiglie, ma il movimento di opinione, nato dalla battaglia di alcuni genitori che hanno acconsentito all’espianto, proprio come quelli di Galbiati, che hanno raccolto firme e proposto dibattiti, ha dato vita a una proposta di legge ora ferma alla Camera.

Galbiati perché deve essere data la possibilità ai parenti di donatori di incontrare i riceventi? "Perché è importante, direi fondamentale per molti. Parlo per la mia esperienza. Io sono riuscito a conoscere un ragazzo che ha ricevuto il rene di mio figlio Riccardo. A me ha fatto bene, anche come elaborazione del lutto. Ho potuto raccontare a questo ragazzo chi era Riccardo, quali fossero i suoi sogni e ne è nato un legame, un’amicizia. Se entrambi sono favorevoli perché dire di no? È una scelta che spetta alle due famiglie. In altri paesi avviene già con un supporto psicologico. Invece in Italia la legge prevede l’anonimato". A che punto è la battaglia? "Grazie al dibattito che abbiamo portato avanti in questi anni il Comitato nazionale di Bioetica si è detto favorevole a lasciare liberi i familiari dei donatori di prendere contatto con chi ha ricevuto gli organi. Si è mosso anche il Centro nazionale trapianti. La proposta di legge purtroppo è ancora ferma. Credo che anche altri stiano portando avanti una modifica di legge . I tempi sono maturi. Spero che sia un “prima” piuttosto che “poi”". Ha incontrato più volte Reginald Green, in quali occasioni? "Reginald Green ha fatto tantissimo per il nostro paese. Bisogna ringraziarlo. Con il suo incredibile esempio il tasso di donazione degli organi è triplicato. Ci siamo incontrati all’inaugurazione di due piazze dedicate alla memoria di “Nicholas Green e Riccardo Galbiati donatori di vita”, a Napoli e Casatenovo, nella Brianza lecchese. È una persona squisita che ha dato a tutti una grande lezione. Proprio Green ora ha dato una scossa al dibattito".