Droga, in Lombardia affari e morti in 36 boschi

Non solo Rogoredo. Radiografia delle piazze di spaccio nella regione

Arresti dei carabinieri al boschetto di Rogoredo

Arresti dei carabinieri al boschetto di Rogoredo

Milano, 12 marzo 2019 - Non uno, non due, non tre. Sono addirittura 36 i boschi della droga censiti in Lombardia. Quello di Rogoredo, estrema periferia sud-est di Milano, pure servito da una stazione ferroviaria ed una stazione della metropolitana, è il caso più noto, è la piazza più ampia, è la punta di quell’iceberg di polvere bianca che ogni giorno viene spacciata in Lombardia. Secondo le forze dell’ordine solo nel boschetto di Rogoredo, ogni 24 ore, dall’alba al tramonto, viene venduto almeno un chilo di eroina. Quattro i morti per overdose contati nel 2018, tre proprio da eroina ed uno da cocaina. Trenta gli arresti, 308 le denunce, 113 i fogli di via e 100 i provvedimenti di allontamento: tutti a Rogoredo, tutto in un solo anno, l’ultimo.

Una realtà che non è eccezionale, ma ripetibile e ripetuta altre 35 volte. L’elenco dei boschi lombardi della droga è riportato nero su bianco nel secondo “Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia” presentato ieri al Pirellone e realizzato dall’“Osservatorio sulla criminalità organizzata” dell’Università Statale di Milano, diretto da Nando Dalla Chiesa. Accanto al caso del Bosco di Rogoredo era noto anche quello del Parco delle Groane, nella provincia di Monza e Brianza. Settimana scorsa era stato il presidente della Regione, Attilio Fontana, a raccontare di essere stato minacciato e cacciato dagli spacciatori durante un sopralluogo. Quindi ecco il Parco Rile-Olona, quello dei Mughetti, quello del Lura, il Bosco del Rugareto e, ancora, il Parco Pineta e il Campo dei Fiori. 

Quel che conta è rilevare è che il fenomeno dei boschi della droga «abbraccia in particolare alcune aree della Lombardia: l’area di Milano e dell’Alto Milanese, della Brianza e le province di Como e Varese» precisa Dalla Chiesa. Non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo: tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta esplose infatti il caso del Parco Lambro, a Milano, dove imperava lo spaccio di eroina. La novità sta nel numero di aree boschive utilizzate per vendere morte, nel salto di qualità compiuto nella loro gestione e nel filo che li lega: sono quasi sempre gestiti da bande criminali nordafricane. «È da osservare, come indicatore dell’evoluzione criminale, il radicamento sul territorio dei gruppi nordafricani – si legge nella relazione curata dall’Osservatorio della Statale –. Radicamento che emerge in particolar modo prestando attenzione alla diffusione e alla gestione dei cosiddetti boschi della droga». Quanto «alla criminalità nordafricana, preoccupa fortemente la grande e continua diffusione di tali boschi e le forme di controllo del territorio che in essi vengono stabilite. La loro diffusione va oltre a Milano e all’ormai famoso boschetto di Rogoredo. Nei boschi – si legge nel report – gli spacciatori sono protetti dalla conformazione naturale e da vere e proprie sentinelle. Possono così operare con relativa tranquillità, tanto che non è infrequente trovare code di acquirenti, alcuni provenienti persino da fuori regione. E i clienti, spesso tossicodipendenti italiani, si mettono a disposizione dei pusher facendo loro da guardie, da vedette, da autisti, da assaggiatori della droga, da rifornitori di cibo o di beni di altra natura a seconda delle necessità».

A sovrintendere a più alti livelli al traffico di droga, a garantirne l’arrivo nelle piazze di spaccio lombarde, sono, «in un mercato ampio e complesso» quale viene definito quello regionale, la ’ndrangheta e la malavita albanese che, secondo i curatori della ricerca, merita qualche riga a parte. «Tra i vari gruppi, occupano un ruolo di assoluta importanza quelli provenienti dalla penisola balcanica. Si tratta di organizzazioni criminali composte, spesso in maniera mista, da cittadini albanesi, kosovari e da slavi. Sono però i clan albanesi – si sottolinea – che manifestano una maggior pericolosità criminale, pur essendo cresciuto nel tempo il dinamismo di quelli slavi. A livello nazionale i gruppi albanesi si sono resi protagonisti di una vera e propria scalata criminale portata avanti senza lesinare comportamenti violenti. Da semplici corrieri e intermediari (in passato per lo più al soldo dei turchi, ndr) si sono presto affermati tra i principali fornitori e grossisti di droga per le organizzazioni criminali sia italiane sia straniere, contando in parte sulle disponibilità finanziarie accumulate con lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina e della prostituzione». Gli albanesi hanno via soppiantato quelli per i quali lavoravano un tempo: i turchi. «A partire dagli anni Novanta la criminalità albanese ha sviluppato collaborazioni con le organizzazioni mafiose italiane presenti in Lombardia. (...) La criminalità turca – spiega la ricerca – sembra essere al centro di un processo di sostituzione etnica e tale processo si realizza a favore della criminalità albanese». Nette le parole di Renato Saccone, Prefetto di Milano, ieri presente al Pirellone: «Il consumo di stupefacenti è il tema più rilevante che dobbiamo fronteggiare al pari del contrasto degli illeciti nella gestione dei rifiuti e dei business malavitosi che ruotano intorno al settore farmaceutico. La società milanese e lombarda ha gli anticorpi per combattere questi fenomeni ed opporsi alle infiltrazioni malavitose».