Coronavirus, Giacomo Querzola: dal football americano all’Ospedale di Cremona

Il running back dei Seamen Milano, neurologo, in prima linea nella lotta al Covid-19

Giacomo Querzola (Foto Facebook)

Giacomo Querzola (Foto Facebook)

Cremona, 4 aprile 2020 - “Non sono un eroe”. Ha le idee ben chiare, Giacomo Querzola. Lui che, da running back che ha vestito le maglie dei Rhinos Milano e, più recentemente, dei Giants Bolzano, quest’anno avrebbe dovuto iniziare il suo percorso con i Seamen Milano. L’emergenza coronavirus ha bloccato tutto e Giacomo, allora, si è gettato nella trincea dell’ospedale Maggiore di Cremona: “Sono abbastanza devastato, stanco morto", ammette.

Giacomo, ci spiega cosa fa e dove lo fa? 

“Sono neurologo specializzando all’ospedale Luigi Sacco di Milano, attualmente in prestito alla medicina d’urgenza e al Pronto Soccorso dell’ospedale Maggiore di Cremona per ovvi motivi d’emergenza”.

Una cosa che l’ha particolarmente colpita della sua attività in ospedale?

“Le cose che più mi hanno colpito sono l’equipe di lavoro e la situazione in generale. Basti pensare ai numeri del fenomeno; nel reparto ci sono dieci posti letto e attualmente abbiamo 28 pazienti. Appena c’è una dimissione, in meno di un’ora il posto letto è riempito con altri pazienti del pronto soccorso. E poi i medici, tutti super disponibili con me. Mi hanno affiancato per qualche giorno per rendermi autonomo nell’attività clinica. Poi ho dovuto camminare con le mie gambe. C’è gente in ballo da 36 giorni, dall’annullamento delle ferie del 20 febbraio imposto dalla direzione medica per l’inizio dell’ondata Covid; 36 giorni d'inferno. Alcuni medici e operatori sanitari hanno toccato punte di 31-32 giorni di fila senza mai uno di stacco. Metà medici sono in malattia per Covid con sintomi e prognosi buona, alcuni sono tornati anche a lavorare dopo un periodo di malattia. Non è una situazione facile e mi viene da dire che è ben più tragica di quanto non lo si descriva da fuori. In Italia la percentuale di mortalità è ben più alta di quella registrata in Cina, non penso per meriti cinesi o demeriti nostri ma semplicemente perché a chi entrava in pronto soccorso in Cina già spacciato non gli eseguivano nemmeno il tampone. E quindi non sono stati registrati come Covid, cosa che permetteva al tasso di mortalità di scendere di molto. Per loro alla fine si è attestato intorno 2,5%, per noi è tre volte più alto”. 

Adrenalina e stanchezza, mix micidiale…

“Si tratta di un’attività molto stimolante, in cui vedi veramente quanto bene puoi fare al paziente. Quanto puoi fare la differenza nella prognosi. E quindi per ogni paziente che va male ce ne sono altri che invece vengono dimessi al proprio domicilio in benessere. Gente che puoi svezzare dalla ventilazione non invasiva, che vengono estubati e altro. Sono tanti. Il problema è che i ricoveri non sono con la tempistica a cui siamo abituati, che in pochi giorni riescono ad essere dimessi, ma sono pazienti che stanno settimane in ospedale. Questa è la più grande criticità”. 

Il momento più bello? 

“Le dimissioni. Dopo che ti spacchi la schiena e vedi la gente dimessa al proprio domiclilio, in salute. Soprattutto perché sono pazienti che soffrono e hanno bisogno, oltre che del lavoro clinico, anche di quello umano. Che gli è negato visto che per ovvi motivi di contagio è impossibile la visita parenti. E poi l’accoglienza delle persone non ospedaliere di Cremona, C’è una famiglia, proprietaria di un albergo, che mi ha trovato un appartamento di fronte all’ospedale. Fanno una sacco piccole cose e, visto che vivo in ospedale, mi fanno trovare la spesa, spesso la mattina la colazione, brioche, paste… e mi permettono di usare i loro computer per il mio lavoro e per studiare”. 

In conclusione, che messaggio vuole lanciare alle persone?

“Il messaggio che vuole lanciare Giacomo Querzola è semplice. State a casa, stringete i denti, riscoprite passioni o cose che non pensavate di avere tempo di poter fare. So che non è facile, vi pervade un senso di vuoto, tristezza e depressione. Ma è necessario avere ancora qualche settimana di pazienza. Siamo in guerra, nonostante molti dicano il contrario, e non stiamo combattendo solo noi medici, infermieri, operatori sanitari. Ma tutti, ognuno con il suo ruolo. E anche chi rimane a casa svolge un ruolo estremamente importante”.