Parla padre Maccalli, prigioniero per due anni degli jihadisti: "Resistere e pregare"

Il sacerdote di Madignano: "Non sanno quello che fanno, solo una volta mi hanno minacciato"

Padre Gigi Maccalli ha salutato i concittadini di Madignano dal balcone della casa di fami

Padre Gigi Maccalli ha salutato i concittadini di Madignano dal balcone della casa di fami

Madignano (Cremona), 16 ottobre 2020 - Padre Gigi è in quarantena. Dopo il bagno di folla di domenica mattina, il frate si è ritirato nell’abitazione che condivide con il fratello Walter, anche lui missionario e attualmente in Liberia e con la famiglia del fratello Angelo. Tuttavia, è in contatto con il mondo esterno grazie a internet. Non ha un cellulare funzionante in quanto deve cambiare la sua vecchia scheda africana con una europea. Ma ha rilasciato un’intervista dove ricorda i momenti e più difficili della sua prigionia, durata 752 giorni. "Resistere per esistere. È la parola che mi ha accompagnato e spronato ad andare avanti giorno dopo giorno. Mi hanno portato via in pigiama e ciabatte; non avevo nulla ed ero visto come un nulla da questi zeloti musulmani jihadisti che mi consideravano un “kafir” impuro e condannato all’inferno. L’unico mio sostegno è stata la preghiera, quella che mi ha insegnato mia mamma".

Ha ma i disperato? "Ho gridato come sfogo e lamento verso Dio: dove sei? perché mi hai abbandonato? Fino a quando Signore? Sapevo e so che Lui c’è! Ma so che Dio lo si vede di spalle, ora che sono libero, tornato a casa sto cominciando a capire. Ho testimonianza di quanto la gente ha pregato, fatto marce e veglie per chiedere la mia liberazione… ne sono sorpreso e stupito".

Ha temuto per la sua vita? "Una sola volta ho ricevuto espressamente una minaccia anzi, una promessa, da parte di un mujaheddin, di piantarmi una pallottola in fronte alla prima occasione. Ai suoi occhi ero uno sporco ‘kafir’ e per giunta predicatore di una fede eretica e condannata dal Corano che si permetteva, a suo dire, di screditare il Santo Libro. Quel giorno ho visto la spada di Damocle pendere minacciosa sulla mia testa. Ma più i giorni e i mesi passavano, meno temevo una conclusione tragica".

Qual è stato il rapporto con i rapitori e carcerieri? "Mi hanno sempre rispettato. La mia lunga barba bianca doveva far presa sui giovanetti imberbi che mi custodivano, mi chiamavano in arabo “tamaceq“ o “shebani“ (vecchio). Provo tutt’ora molta tristezza verso questi giovani indottrinati da video di propaganda che ascoltavano tutto il giorno. Non sanno quello che fanno. Non porto rancore verso i miei rapitori e carcerieri, ho pregato per loro e continuo a farlo".

Tornerà a fare il missionario? "Ciò che significherà per la mia vita da missionario questa vicenda, ora non lo so. Ho bisogno di tempo".