Processo Bossetti, le lacrime del papà di Yara in aula: "Era il sale della nostra vita"

Anche la madre della 13enne ha testimoniato in aula sul giorno della scomparsa della figlia, ricordando la telefonata fatta quando si accorse che Yara non tornava a casa

Maura Panarese arriva in tribunale

Maura Panarese arriva in tribunale

Bergamo, 11 settembre 2015 - E' iniziata stamattina di fronte alla consueta folla il processo a Massimo Bossetti per l'omicidio di Yara Gambirasio. Presenti in aula i familiari della ginnasta 13enne morta nel 2010, i genitori Maura Panarese e Fulvio Gambirasio nonché la sorella Keba. Su richiesta dei difensori l'imputato, in jeans e camincia bianca, e' stato fatto sedere a fianco degli avvocati e non nella gabbia degli accusati nella quale aveva trascorso le prime due sedute. In aula è presente anche la sorella gemella del muratore, Laura Letizia. Bossetti, all'inizio e alla conclusione della mamma di Yara, ha rivolto un cenno di saluto alla sorella e lei gli ha sussurrato: «Ti voglio bene».

All'inizio della seduta i suoi avvocati hanno chiesto il diario di Yara e gli atti del Dna. Diario che, ha spiegato il pm Letizia Ruggeri, non è stato mai acquisito: all'inizio delle indagini sono solo state fatte alcune fotocopie per capire il profilo della vittima. La madre di Yara lo farà comunque avere all'ufficio del pm, in modo tale che le parti possano consultarlo. L'agenda scolastica, dopo le prime indagini, era stata restituita alla famiglia.

Nel corso della seduta saranno ascoltati i genitori di Yara e la sorella Keba: la sera del 26 novembre 2010 in cui avvenne il rapimento doveva essere lei a portare il registratore alla palestra, compito per il quale si offrì Yara. Quel 26 novembre Yara aveva ricevuto il «pagellino» ed era «contentissima perché aveva preso voti bellissimi», ha ricordato Maura Panarese, la mamma della 13enne uccisa deponendo come testimone nel processo come prima familiare della vittima a essere sentita. Dal canto suo Fulvio Gambirasio, il padre, ha interrotto più volte a causa del pianto la sua deposizione, assai sofferta. Intanto è stata acquisita agli atti del processo una lettera inviata alla famiglia Bossetti da Loredano Busatta, il compagno di cella di Giuseppe Bossetti che ha raccontato successivamente al pm Letizia Ruggeri le confidenze che gli aveva fatto il carpentiere di Mapello.

VITA DI YARA -  La mamma di Yara senza tradire particolari emozioni ha iniziato ricostruendo le abitudini della figlia rispondendo alle domande del pm Letizia Ruggeri. La mamma di Yara non ha rivolto lo sguardo verso Massimo Bossetti, che segue con attenzione lo svolgersi della seduta, apparendo tranquillo.  "Avevamo un rapporto normale, con alcuni litigi come capita a tanti. Frequentava la palestra con ragazzine piu' piccole di lei e altre piu' grandi. Negli ultimi due mesi aveva deciso di lasciare il catechismo. Frequentava spesso la palestra nei pressi della quale e' stata rapita, aveva gli allenamenti il lunedi' e mercoledi', a volte ci andava da sola a piedi o in bici, altre la accompagnavo io in auto". La bambina aveva abitudini regolari: "Si svegliava alle 6,45andava a scuola e tornava con il papa' e' un'amica, io portavo il piccolo. Il lunedi' pomeriggio Yara andava in palestra, il martedi' a scuola di latino, mercoledi' tornava a casa nostra e pranzava con due amiche e i venerdi' (giorno del rapimento, ndr) tornava in palestra".

La donna ha inoltre sottolineato che Yara frequentava soprattutto suoi coetanei, evitando di rapportarsi con persone più grandi: "Frequentava la Polisportiva di Brembate, le sue amiche erano prevalentemente ragazzine coetanee o di poco più grandi di lei". A detta di sua madre, la sua era una vita tutta scuola, casa e palestra: quando l'avvocato Camporini le ha parlato di una "panchina chiacchierata" dove i giovani di Brembate di Sopra si riunivano poco lontano dalla palestra frequentata da Yara, la madre ha negato che Yara incontrasse i suoi amici in quel luogo. Anche perché negli ultimi mesi del 2010 l'area dove si trova questa "panchina chiacchierata" secondo la signora Panarese "era chiusa". Inoltre non frequentava persone più grandi, Maura Panaese ha detto non aveva mai visto Bossetti: "Non l'ho mai visto in giro. Il giorno dell'arresto io e mio marito ci siamo chiesti chi fosse".

IL 26 NOVEMBRE 2010 - Ha poi cominciato a raccontare nel dettaglio che cosa accadde quel 26 novembre. L'ultima volta che vide Yara (e spesso ricordando la figlia la donna ha sorriso) stava facendo i compiti e, una volta finito, avrebbe portato uno stereo nella vicina palestra che frequentava. «Mamma abbiamo un sacchetto?», le chiese la tredicenne e Maura Panarese, con una battuta, rispose: «Figurati se guardano tutti te che porti lo stereo». Uscendo di casa la ragazza "aveva un paio di leggings neri e la maglietta azzurra della Federazione e ginnastica italiana e un paio di All Star nere e la coda di cavallo. Con sè la ragazza aveva le chiavi di casa, il cellulare e il lettore mp3", ha aggiunto. Yara sarebbe dovuta rientrare alle 18.45. Una volta accortasi che la figlia era in ritardo rispetto a quanto avevano stabilito, non vedendola tornare, intorno alle 19.30 la mamma aveva composto il numero del suo cellulare che aveva fatto due o tre squilli ed era poi scattata la segreteria telefonica. Chiamò i responsabili della palestra i quali dissero che Yara era uscita intorno alle 18.30 "dicendo che sarebbe tornata a casa". Fecero altre telefonate e poi, con il marito, chiamarono i carabinieri. Fulvio Gambirasio, il padre di Yara, deporrà probabilmente nel pomeriggio.

RICERCHE SU VIOLENZE - La mamma di Yara ha anche svelato che  la figlia "era rimasta molto impressionata per la vicenda di Sarah Scazzi". Dalle perizie informatiche infatti è emerso che Yara aveva fatto una ricerca online sulla violenza sulle donne. Inoltre la 13enne di Brembate di Sopra aveva preso in biblioteca alcuni libri dedicati al fenomeno del bullismo giovanile. "Yara - ha spiegato la madre Maura  - è sempre stata molto attenta con le persone che non conosceva. Rifiutava sempre i passaggi in auto. Era di indole molto diffidente".

IL PAPA' - "Quando mia moglie Maura mi ha chiamato intorno alle 20 per dire che Yara non era ancora tornata a casa - dice trattenendo a stento la commozione - ho capito subito che c'era qualcosa che non andava". A quel punto Fulvio, che era in macchina con un collega e stava andando ad una cena con altri compagni di lavoro, chiede al collaboratore di riportarlo a casa e mentre la moglie chiama i carabinieri, comincia a cercare invano la figlia.

Nelle ore e nei giorni successivi le ricerche proseguono frenetiche. E mentre i carabinieri non tralasciano la pista dell'allontamento volontario, papà Fulvio è certo che la figlia, che "non aveva il brutto vizio di tardare" e al massimo faceva attendere i familiari "dieci minuti" prima di rientrare a casa, sia accaduto qualcosa di brutto. In quei giorni le lascia anche diversi messaggi alla segretaria del cellulare, sempre spento. "All'inizio erano messaggi scherzosi - ha proseguito in aula, tra le lacrime - poi disperati" e a quattro giorni dall'allontanamento da casa della 13enne il padre lascia inciso il messaggio: "Mi devo preoccupare?".

Rispondendo a una domanda specifica Fulvio Gambirasio ha spiegato: "Credo di aver visto una volta Bossetti quando da ragazzo mentre andava in bici o in motorino per Brembate. Non escludo di averlo incrociato per lavoro nel cantiere di Palazzago dove ero andato con mio cognato". Ad ogni modo ha spiegato di non averlo mai conosciuto prima del 16 giugno 2014, giorno del fermo del presunto assassino di sua figlia Yara. "Dopo quello che è successo - ha raccontato l'uomo in aula - ho ripercorso più volte il mio passato per capire se avessi fatto qualcosa a qualcuno che mi potesse riguardare e di cui non mi ero accorto. Ho passato notti intere a pensare che cosa potesse essere successo". Poi, una volta circolata la notizia del fermo di Bossetti, "ho chiesto a mia moglie di dirmi il nome. Quando lo ha fatto, mi sono sentito sollevato perché non lo conoscevo". Del resto, ha detto ancora Fulvio Gambirasio, "io non ho mai fatto del male a nessuno".

«Era il collante, il sale della nostra famiglia, ogni cosa la faceva con una capriola, una giravolta. Era sempre allegra e sorridente. Aveva la ginnastica nel sangue». Fulvio Gambirasio si è commosso più volta nel ricordare la figlia Yara nel processo a carico di Massimo Bossetti, accusato di averla uccisa.

LE ALLENATRICI - Era «tranquillissima» Yara Gambirasio quando, nel pomeriggio del 26 novembre del 2010 si è presenta alla palestra di Brembate di Sopra per portare uno stereo che doveva servire per una gara la domenica successiva. A raccontarlo è stata una delle allenatrici della ginnasta 13enne che la videro seguire l’allenamento di alcune compagne. Le allenatrici hanno ricostruito quegli istanti in aula. Daniela Rossi, responsabile tecnico del settore ginnastica ritmica, ha raccontato di averla vista arrivare intorno alle 17.30, soffermarsi per vedere l’allenamento della compagna e poi andarsene. «Era tranquillissima» ha raccontato la donna.

LA DIFESA - Gli avvocati difensori di Massimo Bossetti sono soddisfatti per il fatto che la Corte ha disposto l'acquisizione dei cosiddetti «dati grezzi» sulla scorta dei quali è stato stabilito che il Dna sul corpo di Yara appartiene al muratore bergamasco: «Abbiamo chiesto di poterli avere - hanno spiegato gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini - perché fino ad ora avevamo solo una sorta di analisi di una radiografia, non la radiografia stessa». «Con i dati grezzi - hanno concluso - sarà possibile stabilire se sono stati commessi degli errori».

L’udienza di oggi, con la deposizione dei genitori di  Yara ha dimostrato che «quello di  Yara e di Massimo Bossetti sono due mondi lontanissimi. Bossetti quindi non può aver mai conosciuto Yara», commentano i difensori del muratore di Mapello al termine dell’udienza fiume. «Sono state delle deposizioni emozionanti - ha detto uno dei legali di Bossetti, Claudio Salvagni - e Yara è emersa per quello che era, un fiore purissimo, una bambina».

(ha collaborato Gabriele Moroni)