Bergamo, paziente morta nell'incendio in ospedale: il giallo delle cinghie

Le indagini si concentrano sulla "scena del crimine", cioè la stanza della vittima

Incendio in ospedale a Bergamo

Incendio in ospedale a Bergamo

Bergamo, 24 agosto 2019 - Si concentrano sulla “scena del crimine” le indagini della procura di Bergamo sul rogo divampato all’interno della stanza di Elena Casetto nell’ospedale Papa Giovanni XXIII, il 13 agosto scorso. Il lavoro degli investigatori per chiarire cosa sia esattamente successo all’interno della camera del terzo piano ha avuto nuovo impulso dai primi risultati dell’autopsia effettuata sul corpo della giovane. In base a quanto emerso dagli esami del medico legale infatti, sul corpo della 19enne, morta per le esalazioni di monossido di carbonio e le ustioni, sono state rinvenute tracce di un accendino bruciato. Elemento che rafforza la tesi del gesto disperato, avvalorato anche dal precedente del 5 agosto, quando la ragazza provò a togliersi la vita.

Quello che gli inquirenti vogliono capire è, non solo come abbia fatto la vittima a portare in stanza l’accendino, essendo vietato, ma anche come sia riuscita ad accenderlo, visto che - per il suo stato psichico - era stata sedata e assicurata al letto, mani e gambe, con delle cinghie di contenzione. Dopo l’incendio, il corpo senza vita della giovane è stato trovato riverso sul pavimento con il polso e la caviglia destra ancora legate al letto, mentre polso e caviglia sinistra, benché avessero le fascette sulle quali si applicano le cinghie, erano libere. Se verrà confermata l’ipotesi che l’incendio abbia avuto origine proprio dall’accendino, bisognerà quindi stabilire innanzitutto in che modo la ragazza sia riuscita a liberarsi per azionarlo.