Omicidio Lidia Macchi, strano comportamento di Binda: conserva fogli per 29 anni

L'indagato non ha distrutto scritti divenuti cardini dell’accusa di ANDREA GIANNI

Lidia Macchi (Newpress)

Lidia Macchi (Newpress)

Varese, 30 gennaio 2016 - Continua a proclamarsi innocente Stefano Binda, il presunto killer della studentessa varesina Lidia Macchi, che ieri è stato trasferito dai Miogni al carcere milanese di San Vittore. Ma il suo comportamento - al di là della validità o meno dell’impianto accusatorio - appare costellato da «stranezze» e «contraddizioni». A partire dalla decisione di conservare per 29 anni materiale che poi si è rivelato per lui compromettente. Materiale che, nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal gip di Varese Anna Giorgetti, viene elencato tra gli indizi di un suo coinvolgimento nell’omicidio. Binda ha conservato quattro agende del 1987, anno in cui fu massacrata con 29 coltellate la sua conoscente, Lidia Macchi.

In una di queste agende le pagine dal 4 all’8 gennaio (Lidia sarebbe stata uccisa il 5) sono state strappate. E alla base, scrive il gip, «è stato applicato uno scotch che unisce le pagine in modo da rendere meno visibile l’asportazione». La pagina coincidente con il giorno del rinvenimento del cadavere risultava strappata anche da una seconda agenda tra quelle sequestrate dalla Squadra mobile di Varese. Tra le pagine di una terza agenda è stato trovato, inoltre, un manoscritto con le parole «Stefano è un barbaro assassino». Ma le sorprese, per gli investigatori che hanno condotto la perquisizione, non si sono fermate qui. Nella stessa agenda, sulla pagina dell’8 gennaio, Binda aveva attaccato un ritaglio di giornale con la fotografia di Lidia Macchi e, nella pagina accanto, aveva scritto un componimento in versi aperto dalla frase: «Stefano, sei fregato». Frasi che, secondo i consulenti del sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, sono state scritte da lui. Così come il componimento in versi anonimo «In morte di un’amica», inviato alla famiglia Macchi il giorno dei funerali. Perché conservare per tanti anni agende e manoscritti che hanno contribuito a corroborare il quadro indiziario?

Pper evitare i sospetti, la strada più semplice sarebbe stata quella di distruggere agende e fogli negli anni scorsi o, più recentemente, quando sono state riaperte le indagini. Invece il materiale compromettente è stato gelosamente custodito nella casa in via Cadorna a Brebbia dove il 48enne viveva con la sorella e la madre. Binda avrebbe potuto fornire chiarimenti nel corso dell’interrogatorio di garanzia, ma ha preferito non rispondere. Un altro gesto contraddittorio e per lui «pericoloso», sempre tenendo per buone le ipotesi dell’accusa (Binda ha ucciso Lidia Macchi e poi ha scritto alla famiglia), è stato quello di inviare la lettera anonima ai genitori della ragazza, 29 anni fa. Una lettera che, anni dopo, si è ritorta contro di lui ed è divenuta l’elemento cardine dell’impianto accusatorio. Comportamenti che rendono ancora più complessa e misteriosa la personalità di Stefano Binda. 

di ANDREA GIANNI