GIULIANO MOLOSSI
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I meriti di Parisi

Milano, 18 settembre 2016 - UNO CHE DA' del traditore della patria a un grande italiano come Carlo Azeglio Ciampi deve sapere che non potrà mai diventare leader del centrodestra. Matteo Salvini potrà continuare a fare quello che ha già dimostrato di saper fare bene, il capopopolo, il condottiero della Lega. In quello è bravo, «buca» il video, è un trascinatore, piace alla base. Ma non può aver l’ambizione di ricoprire un ruolo più importante, non può essere lui il capo della coalizione. Perché nell’alleanza che un giorno non lontano dovrà presentarsi agli elettori la componente moderata è preponderante. C’è tanta gente che detesta Renzi ma che non voterebbe mai per uno schieramento guidato da Salvini. Piuttosto resta a casa. Da sola la Lega di Salvini non va da nessuna parte, è tagliata fuori dai giochi, è condannata a un ruolo di secondo piano. Se ha aspirazioni di governo deve accettare di far parte di una coalizione capitanata da qualcun altro. E questo qualcun altro oggi come oggi non può essere che Stefano Parisi.

IL PROBLEMA è che con Parisi, almeno per ora, Salvini condivide soltanto il No al referendum. Pochino anche per sedersi allo stesso tavolo e cominciare a discutere. Tanto più, fa notare Salvini, che nella eterogenea platea che ha applaudito Stefano Parisi alla convention del Megawatt di Milano c’erano tanti «vecchi arnesi» sostenitori del Sì. Ma se intendono costruire una credibile e robusta alternativa al Pd di Renzi e ai Cinquestelle di Grillo, i due consiglieri comunali milanesi Parisi e Salvini, pur così diversi fra loro, dovranno necessariamente trovare un punto d’intesa. Il tentativo di Parisi di rigenerare il centrodestra, di dare una scossa a una comunità depressa, di riportare l’entusiasmo del ’94, sta irritando i leghisti ma sta provocando parecchie tensioni anche in Forza Italia. Tra i colonnelli, c’è molto malumore: qualcuno, evidentemente, sperava di diventare generale.

Silvio Berlusconi, che il generale lo sta facendo, con alterne fortune, da 22 anni, per ora sta alla finestra e attende di vedere fino a che punto Parisi riuscirà nel suo intento di riportare a casa milioni di elettori che se ne sono andati, delusi dalle liti, dai tradimenti, dagli obiettivi mancati. Per molte ragioni, e non solo per colpa degli strappi di Bossi, Fini o Casini, il Cavaliere ha fallito: non è riuscito a realizzare quella rivoluzione liberale che aveva annunciato ai tempi della sua discesa in campo. Oggi ci prova il suo «delfino» Stefano Parisi a costruire una piattaforma politica liberal popolare capace di coinvolgere forze fresche di quella società civile moderata che è stanca di stare in silenzio.

La sfida non è facile, ma qualche merito Parisi già ce l’ha: quello di aver riportato il centrodestra sotto i riflettori, di aver rivitalizzato l’ambiente, di aver convinto tanti volti nuovi a uscire allo scoperto, a salire su un palco e a dire con parole chiare e semplici che il Paese ha urgente bisogno di tante riforme liberali. Vi sembra poco?  giuliano.molossi@ilgiorno.net