"Ora don Diego se ne deve andare: ha tradito tutta la nostra comunità"

Dopo lo choc per l’arresto del parroco, a Solza esplode la rabbia di AGATA FINOCCHIARO

I tre adolescenti che frequentavano l'oratorio (De Pascale)

I tre adolescenti che frequentavano l'oratorio (De Pascale)

Solza, 14 febbraio 2016 - "Conoscevamo don Diego, andavamo all’oratorio. Si comportava bene con noi, era bravo". Marco, Luca e Angelo (i nomi sono di fantasia) hanno la stessa età dei ragazzini caricati sul Suv nero dal parroco di Solza, ora ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta della procura di Brescia sulla prostituzione minorile. Ma loro non tirano tardi la sera: al mattino devono alzarsi presto per andare a scuola. Come ieri, zaino in spalla, passo veloce, un solo argomento di discussione, smozzicato tra i denti che tremano per il freddo. «Lo abbiamo scoperto dalla tv – raccontano –. I nostri genitori hanno chiesto subito se don Diego ci avesse fatto strane proposte e abbiamo risposto di no».

I timori del paese, dei genitori di chi frequentava l’oratorio, si materializzano nelle parole dei tre ragazzini. «A casa non ne parliamo più – incalza Luca – ma tra noi sì. Alcune compagne lo difendono, dicono che magari lo faceva per aiutare quei ragazzi ed è stato frainteso, ma noi crediamo alle accuse». Ve lo aspettavate? «Cose tanto gravi no, ma ci chiedevamo come facesse ad avere quel macchinone, dove prendesse i soldi». Domande che in tanti si facevano a Solza da quando, nel 2012, don Diego Rota era arrivato, Jacuzzi al seguito. «Dicono che si sia portato in canonica la sua vasca idromassaggio – commenta Alessandro Paris –, aveva un tenore di vita sopra le righe: il Suv, l’Apple watch, i bei vestiti». Passato lo sgomento dei primi giorni, i solzesi danno sfogo alla rabbia.

«Se è vero che aveva il macchinone perché era benestante di famiglia perché non faceva beneficenza, come raccomandava a noi durante le omelie?» Sbotta Carla, che abita di fronte alla canonica e vedeva spesso don Rota rientrare a tarda notte. «Pensavo tornasse dagli incontri per promuovere le gite. Ne organizzava tantissime». E in tantissimi sono stati con lui a Roma, Assisi, Medjugorje. Come Lidia, volontaria in parrocchia. «Per me è stata una pugnalata al cuore», sussurra trattenendo le lacrime, mentre accende una sigaretta dopo l’altra. «Non ha mai destato sospetti qui. Era irreprensibile anche in momenti di svago come le gite, lui guidava il pullman, organizzava tutto per bene». In tanti si sentono confusi. «Non ci sono parole per quello che ha fatto – dice Sergio, fornaio – sono sconcertato». Più dura Francesca: «Da qui se ne deve andare. Con quei modi all’apparenza irreprensibili ha fregato duemila persone». Di una doppia personalità parla anche Teresa, che lavora al Piper, nel suo bar coagula la rabbia di un paese stordito dall’orrore. «Don Diego criticava il vecchio parroco perché si era fatto tatuare il cuore di Gesù. Ma quello era un uomo di fede, riempiva la chiesa». Quella chiesa che ieri sembrava enorme nella sua desolazione. Nessuno tra i banchi. Alle 8 il sagrestano è sgattaiolato via dopo aver aperto il portone laterale. Spalancato di fronte alla Lexus nera, in sosta sotto le finestre della canonica. E ora che il vaso di Pandora è scoperchiato, quel Suv, parcheggiato tra il cassonetto della Caritas e l’umile porticina della chiesa, appare ancor più fuori posto. Come un fotomontaggio sulla cartolina di un paese fuori dal tempo e (fino a ieri) dalla cronaca.