San Donato, gli angeli dei bimbi battono il coronavirus

Alessandro Frigiola, fondatore dell'Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo: "Tutto è cambiato ma dove possibile non ci siamo fermati"

Il dottor Alessandro Frigiola

Il dottor Alessandro Frigiola

San Donato (Milano), 28 maggio 2020 - Dopo quattromila bambini salvati e 445 missioni in giro per il mondo, gli angeli dei piccoli pazienti cardiopatici non si sono fermati nemmeno davanti al Covid: il lockdown è diventato uno stimolo a fare meglio e di più. A raccontare come è stata affrontata l’emergenza sanitaria dall’équipe dell’Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo è il suo fondatore, Alessandro Frigiola, direttore dell’Area Chirurgica Cuore Bambino del Policlinico di San Donato.

I medici dell’associazione operano in missione in 27 Paesi in via di sviluppo, cosa è successo con lo scoppio di questa terribile pandemia: si sono interrotti gli aiuti? "È cambiato tutto in modo radicale. Il 22 febbraio, il giorno in cui è stato scoperto il primo paziente di Codogno, sono partito per una missione in Egitto e al mio rientro è iniziato il lockdown che ha sospeso tutto. A San Donato avevamo dei bambini che aspettavano un intervento salvavita al cuore, sono rimasti bloccati in Italia con le loro famiglie. Non ci siamo arresi, la vita dei bambini è troppo preziosa".

A San Donato avete continuato a operare il cuore dei bambini? "In questi mesi, abbiamo operato tre bambini: Maka e Ahmed provenienti dall’Egitto, Samuella dal Burundi. Dopo l’operazione li abbiamo dimessi dal Policlinico, ma la chiusura delle frontiere ci ha impedito di rimandarli a casa. Per le mamme dei nostri pazienti non è stato facile, mentre erano bloccate in Italia avevano altri figli a casa. Sono ancora qui in attesa che ripartano i voli per tornare in patria".

Con la chiusura delle frontiere, avete avuto del personale bloccato all’estero? "Quattro medici dell’Associazione - tra cui il capo équipe siriano Tammam Youssef e la responsabile rumena Inima Copilor - sono rimasti bloccati in Romania. Erano appena arrivati all’ospedale Marie Curie per una missione che sarebbe dovuta durare una settimana e, invece, si è protratta per un mese a causa del lockdown. Mentre erano là hanno continuato a operare: hanno salvato 50 bambini, di cui 20 neonati. Erano gravissimi, senza un intervento non ce l’avrebbero fatta. Ed è stato un successo, visto che hanno avuto solo 3 decessi. Sono ancora in Romania, torneranno questa settimana".

Molti bambini non sono potuti partire e non ce l’hanno fatta. È il paradosso del Covid che ha creato vittime anche tra bambini non affetti dal virus? "Esattamente così. Tanti dei bambini che stavamo cercando di portare in Italia sono morti, erano talmente gravi che nono riusciti a superare questo momento. Abbiamo continuato a fare formazione ai medici a distanza, a seguire i casi da lontano, ma in quei luoghi non ci sono le strutture e la strumentazione per poter affrontare operazioni al cuore così delicate. Martedì siamo riusciti a fare arrivare un neonato molto grave da Bucarest, lo ha accompagnato un anestesista coraggioso che, però, non ha potuto mettere piede fuori dall’aereo, per non creare complicazioni entrando su suolo italiano. Un altro bambino di un mese arriverà settimana prossima".

State raccogliendo richieste di aiuto da altri Paesi? "In questi giorni ho ricevuto una telefonata dalla Nigeria, c’è bisogno di mascherine e strumenti di protezione".