Victoire Gouloubi, l’alta cucina della chef: “La mia rivincita contro il razzismo”

La maestra italo-congolese: le gastronomie africane hanno tanto da dare, scopritele

Chef Victoire Gouloubi

Chef Victoire Gouloubi

"Sono arrivata in Italia con un visto di studio. Sognavo l’università". Dopo aver passato il test d’ingresso per la facoltà di Giurisprudenza, è arrivata l’illuminazione. Nelle forme dello zio che l’aveva aiutata ad arrivare in Italia assieme al fratello. In fuga da fame, guerre e genocidi. "Mi disse una frase che non ho mai dimenticato: “Anche se prendi tutte le lauree possibili, nessuno ti assumerà né ti darà quel che ti spetta. Meglio se ti scegli un mestiere, ti costruisci una professione che ti consenta di lavorare in ogni angolo del mondo senza dover chiedere favori". Era il 2002. E arrivò l’idea: "Stai in cucina". Perché Victoire Gouloubi, pluripremiata chef italo-congolese e prima Executive Chef donna nera nel nostro Paese, da bambina spesso stava in cucina. "Avevo sorelle più belle di me – racconta, a metà tra serio e faceto – e quando c’erano i loro matrimoni tradizionali, io stavo in cucina con le zie, pelavo platano o sbucciavo cipolla". Pensare che in Africa la cucina non è un gran mestiere. "Quando scelsi di imparare, per i miei genitori e le mie zie paterne fu una specie di tradimento, per loro la mia scuola alberghiera era il primo passo per fare “la domestica dei bianchi“. Vedevano la mia scelta come un passo indietro, un ritorno alla schiavitù". Invece... "Con il tempo si sono dovuti ricredere: noi siamo i medici del gusto, salviamo l’umore delle persone. La mia scalata è cominciata da lì".

Con giornate amare e momenti esaltanti. Perché Victoire l’ha vissuto sulla sua viva pelle, il razzismo che dalla società striscia fin dentro le cucine. Anche quelle stellate. E, da donna, ha subìto anche il maschilismo. Esempi? Ero in stage in brigata, si entrava alle 9.30 nel ristorante per la preparazione della linea, pomeriggio dalle 17 pausa e poi si torna per mangiare. Cena per la brigata cucinata a rotazione. Ebbene, quando era il mio turno ho visto molti colleghi non toccare cibo. Altri esempi? Ristorante di alto livello, tavolata di uomini d’affari, applausi alla brigata. A fine cena chiedono di conoscere lo chef. Esco io, gelo in sala. Quando sento episodi di razzismo di colleghi, non mi stupisco: l’ho vissuto sulla mia pelle. Il razzismo. Il sessismo. Ero una ragazza che aveva visto il genocidio in Rwanda, sono fuggita da un Paese dilaniato dalla guerra. Io dico: “Provate a far fare una salto ai nostri giovani in Ucraina. A vedere cosa si prova. Quel che ho provato io, dopo due mesi a lavorare in una cucina di altissimo livello, senza parlar bene l’italiano. A fine giornata pensavo: “Mollo, vado in Francia dove almeno la lingua la conosco“. Molti neri rinunciano, vanno dove ci sono più simili, dove possono trovare aiuto. Qui per me è stata una battaglia, un brancolare al buio ogni giorno". E diventare executive chef non è stata la soluzione. "Ero sempre in discussione. Eppure dovrebbe contare solo il talento, la creatività e la complessità, la capacità di capire e lavorare in modo eccelso la materia prima, non dovrebbe prevalere la logica dell’anzianità. Ci sono colleghi che copiano stellati e dopo pochi anni muoiono. Io ho sempre potuto contare sulla mia più grande ricchezza, il background africano e la ricchezza culturale acquisita qui in Italia, radici in entrambe le tradizioni da entrambe le parti ho il grande dono della creatività". Così Victoire, parlando il linguaggio del cibo, è stata accolta. Ed è stata di ispirazione a tanti. Come Claudio, un ragazzo di 28 anni, una storia difficile, che tante volte ha pensato di mollare ma le ha confidato: "Sono rimasto in cucina per te, seguendo il tuo esempio. “Se ce l’ha fatta lei, sopravvissuta a guerre, razzismo e sessismo, devo farcela anche io“". Oggi Claudio ha una pizzeria a Torino, moglie e figli. "Perché la mia forza sono le innumerevoli persone che hanno creduto in me: clienti, colleghi, giornalisti – scandisce Victoire –. Essere executive chef non è solo cucinare, è avere una missione. Cercare di migliorare il mondo". E Victoire ha la forza dei sogni, dopo 22 anni di battaglie. Vinte sul campo.