Rho, la volontaria sulla nave Aquarius: "Mai far naufragare la solidarietà"

Benedetta Collini racconta l’esperienza al fianco dei migranti

Benedetta Collini, 39 anni

Benedetta Collini, 39 anni

Rho (Milano), 8 settembre 2018 - "Quando avvistiamo una persona in mare, salviamo un naufrago che è scappato dal suo Paese per motivi che ancora non conosciamo e che non sta a noi giudicare. Diventa migrante quando scende a terra". È la testimonianza di Benedetta Collini, 39enne di Milano, operatrice di Sos Méditerranée, la Ong impegnata nel Mediterraneo con la nave Aquarius per il salvataggio dei migranti, che martedì sarà a Rho per raccontare l’attività dell’organizzazione. Benedetta è dottore di ricerca in letteratura francese, due anni fa ha deciso di lasciare tutto e diventare volontaria.

Come mai questa decisione?

"È nata dal desiderio di mettere a disposizione dell’Ong alcune delle mie competenze: da quelle nautiche, sono stata istruttrice in una scuola vela francese, a quelle sanitarie, per dieci anni ho prestato soccorso sulle ambulanze a Milano. Inoltre conosco bene l’inglese e il francese".

Nel 2017 per 12 settimane è stata parte del Sar team di Sos Méditerranée impegnato nel soccorso dei migranti. Come è andata?

"Mi sono ambientata subito, mi hanno spiegato i miei compiti. A bordo della nave ci sono tre team che lavorano insieme: quello marittimo, quello medico di Msf e il nostro dedito al soccorso. Quando avvistiamo i naufraghi diamo loro i giubbotti di salvataggio che servono per metterli al sicuro. Poi salgono a bordo e vengono subito visitati dal team medico. In quel momento per loro è importante avere la certezza di non essere in pericolo".

Qualche ricordo in particolare?

"Un signore del Bangladesh che appena è salito a bordo della nave mi ha chiesto se poteva fare una telefonata al suo Paese. Io l’ho guardato stupita, non avevo colto il senso della sua richiesta. Solo più tardi una delle persone che ha il compito di raccogliere le testimonianze mi ha raccontato che era un giornalista scappato in India per motivi politici, poi in Sud Africa e da qui era arrivato in Libia. A ogni tappa della sua fuga chiamava la moglie per tranquillizzarla, per dirle che ce l’aveva fatta".

Cosa le dà particolarmente fastidio?

"La disumanizzazione delle persone che aiutiamo. A bordo della nave abbiamo sempre giornalisti e quando vedono le persone che salviamo restano senza parole e capiscono il nostro lavoro. È un’esperienza che tutti dovrebbero fare anche se poi è difficile da raccontare e trasmettere agli altri. Un’altra cosa che mi ferisce è la poca considerazione di chi lavora a bordo dell’Aquarius, dai volontari ai medici. Io ho incontrato sulla nave delle persone straordinarie che si annullano per gli altri, eppure nei loro confronti si dicono cose non vere".