Un anno di prigionia in Mauritania. L’odissea di Cristian tra le cyber-spie

Il governo locale, truffato su una fornitura, trattiene in ostaggio la bodyguard di Cornaredo

Cristian Provvisionato

Cristian Provvisionato

Cornaredo (Milano), 15 agosto 2016 - Da dodici mesi in un carcere mauritano, senza sapere perché. Compie oggi un anno l’avventura kafkiana di Cristian Provvisionato, 43 anni, bodyguard di Cornaredo, che solo pochi giorni fa per la prima volta, dal carcere ha rilasciato al cellulare un’intervista, proprio al Giorno. L’uomo era partito il 15 agosto dello scorso anno per la terra degli uomini blu, con un matrimonio in agenda per l’autunno con la compagna Alessandra.

Un incarico semplice, di qualche settimana, affidato dalla società di investigazioni milanese Vigilar Group, per conto della Wolf Intelligence, dell’indiano Manish Kumar, azienda che commercializza prodotti tecnologici finalizzati alle intercettazioni e al controllo remoto di dispositivi elettronici: sostituire un altro italiano, esperto di open source intelligence, che doveva rientrare, e tenere una breve presentazione di prodotti al governo della Mauritania. Ma dopo nemmeno quindici giorni, ai polsi di Cristian sono scattate le manette e l’uomo è stato tradotto nel posto di polizia della capitale Nouakchott, dove si trova tuttora recluso. L’accusa? Nessuna, per sette mesi. Ma un retroscena evidente: un affare andato a male tra il governo islamico locale e un pool di società straniere, legato all’acquisto di tredici sistemi informatici di spionaggio, l’ultimo dei quali (che doveva essere consegnato da un esperto israeliano) nessuno ha mai visto.

Insomma, la Mauritania ritiene di essere stata truffata. Un buco di circa un milione e mezzo di euro, che ha spinto le autorità locali a trattenere una sorta di ostaggio (tecnicamente, un “fermo di garanzia”). Peccato che nessuno, all’orizzonte, si sia fatto vivo per risolvere la questione economica. I fronti aperti restano comunque due: quello diplomatico e quello giudiziario. Sul primo, la Farnesina ha più volte inviato in missione l’ambasciatore in Marocco, Roberto Natali (competente per il Paese confinante, dove l’Italia non ha sedi di rappresentanza). Frequenti anche gli incontri con il console onorario italiano a Nouakchott, Ahmed Baba Ould Azizi (rimosso misteriosamente dai mauritani, proprio in seguito alla vicenda, dopo 17 anni di attività). Fitta anche la corrispondenza tra Roma e il ministro degli Esteri mauritano Amad Meimou. Diversi gli appelli in Parlamento e in Regione Lombardia. Ma senza alcun risultato concreto.

Sul fronte giudiziario, Cristian è stato interrogato da un giudice solo dopo 9 mesi, quando ormai aveva perso 30 chili, anche a causa di un’impropria alimentazione (riso e acqua), corretta poi in extremis. L’uomo è infatti diabetico e l’eccesso di amidi può diventare letale. All’accusa, ventilata per mesi, anche se mai espressa (spionaggio informatico), sembra non credere ormai più nessuno, men che meno il giudice. Cristian infatti ne sa di informatica e di cyberspionaggio quanto di Corano. Ma il giudice, che ha preso tempo, ora è in ferie per 45 giorni e non si è ancora espresso sull’istanza di libertà chiesta dal legale Boumiya Hamoud, incaricato dai familiari dell’italiano. Che pochi giorni fa ha scritto anche a Federica Mogherini.

Cristian prima e dopo l'arresto
Cristian prima e dopo l'arresto

Molti anche i viaggi della madre Doina Coman, della fidanzata Alessandra Gullo e del fratello Maurizio (in questi giorni a Nouakchott, con due valigie di cibo italiano per Cristian). Ma sulla vicenda spira ancora un gelido silenzio, che lascia spazio alle ipotesi più recondite. Troppe le figure che si sono avvicendate nel rebus, così difficile da districare. Spagnoli, indiani, israeliani. Società fantasma che aprono e chiudono. Sistemi di software che contengono un trojan, capace di infilarsi nei computer e negli smartphone per spiare a distanza i presunti terroristi o nemici. L’interesse degli Usa, che vorrebbero tamponare l’egemonia francese, in un territorio così vicino al Mali, e alla Nigeria di Boko Haram. Il silenzio, a lungo tenuto, dai media italiani. Il ventilato coinvolgimento dei servizi.

Secondo alcuni, la figura chiave di tutta la vicenda sarebbe tal Ahmed Bah, “tecnical advisor” del governo mauritano, che aveva mostrato dapprima interesse per le soluzioni di monitoraggio remoto, poi messo nei guai Provvisionato, controllandogli pc e telefono e trattenendolo. Le verità, anche in conflitto tra loro, sono troppe. Lo stesso italiano sostituito da Cristian sostiene, tramite i suoi legali, di essere stato a sua volta incastrato, perché all’oscuro di tutto. Tra lui e la famiglia di Cristian ci sono oggi denunce incrociate. La matassa pare inestricabile. Cristian ha da pochi giorni un telefono per sentire i suoi ed è stato spostato in un edificio più decoroso. Ma è evidente che la Farnesina, come con i marò, dovrebbe mettere in campo un carico da undici per lo sfortunato lombardo. Anche perché c’è una donna che lo aspetta, una famiglia, e un futuro da costruire. Un diritto che non si può negare a una persona innocente.