Protesta ad Arese, primo sciopero al megastore

I lavoratori manifestano davanti all'ingresso: "Trattati senza rispetto"

La manifestazione dei lavoratori di Primark davanti al megastore

La manifestazione dei lavoratori di Primark davanti al megastore

Arese (Milano), 24 dicembre 2017 - Fuori dal mall di Arese i dipendenti di Primark manifestano per dire "No al precariato". Dentro la frenesia delle ultime ore di shopping natalizio inizia già dalle prime ore della giornata. È l’antivigilia di Natale, sono da poco passate le 9, alcuni scioperanti distribuiscono volantini nei parcheggi già pieni, altri entrano ed escono dal centro commerciale per scaldarsi un po’. Incroceranno le braccia fino alle 13.

È il primo sciopero nella storia del grande mall di Arese. Il gruppo della protesta cresce e diminuisce via via. Sono 40, forse 50 in tutto quelli che a fine giornata avranno aderito. Ne conta più di 500 di dipendenti il colosso irlandese della moda low cost che proprio qui ad Arese ha aperto il primo negozio in Italia.  "C'è un clima intimidatorio, la maggioranza dei dipendenti ha paura delle ritorsioni, di vedersi sfumare anche l’ultimo rinnovo, di finire in magazzino o essere retrocesso. Fra i contratti a tempo determinato il 35% ha aderito alla protesta - dichiara Andrea Orlando, segretario di Flai, Federazione lavoratori aziende italiane - Le politiche occupazionali di Primark si reggono sul precariato: l’80% dei lavoratori è a tempo determinato in contraddizione con il contratto di lavoro nazionale che ne prevede il 20%. Per questi motivi chiederemo l’intervento dell’ispettorato al lavoro del Ministero. Otto, nove mesi di assunzione, due rinnovi e alla scadenza vengono scaricati".

I dipendenti denunciano inoltre condizioni di lavoro estenuanti e un clima intimidatorio per chi si iscrive al sindacato. A Primark lavorano persone di ogni età, arrivano da Milano, da Castellanza, da Canegrate, da Cassano Magnago, da Garbagnate, Solaro, Busto Arsizio. Superata la paura iniziale di mostrarsi in volto, in molti decidono di raccontare. "Non abbiamo più niente da perdere», il coro generale. Raffaele Mazzotta, 49 anni papà di due bambini, l’ultimo nato il 20 dicembre è stato lasciato a casa il 28 novembre scorso dopo tre rinnovi: «All’inizio tante belle parole, il posto alle casse, poi qualche critica e alla fine mi hanno spostato in magazzino prima di scaricarmi". Anche per Loredana Prestigiacomo, 26 anni, diplomata in ragioneria la carriera in Primark è un estenuante saliscendi: "Lavoro qui dall’apertura dello store, dopo un breve periodo alle casse sono passata agli uffici, per alcuni mesi promossa a responsabile, mi hanno fatto seguire un corso di formazione e, infine, mi hanno rimandato al punto di partenza senza un perché".

Ha un contratto fisso anche Rossana Zacconi, 49 anni che è stata una delle prime assunte a Primark, partita da responsabile è poi finita ai camerini uomo: "L’ultima spiaggia, diciamo scherzando fra noi dipendenti - dice Rossana - Ancora oggi non ho chiari i motivi del mio declassamento. Ho visto piangere troppe persone qui dentro, tanti ragazzi, tanti manager. A un certo punto ho pensato che andare avanti così non era più possibile, che bisognasse fare qualcosa e mi sono iscritta al sindacato". Anche Antonella Hirling, 38 anni, è una delle fortunate a contratto: "Ho iniziato come molti dalle casse, mi hanno poi messo alla prova come responsabile di reparto e alla fine mi hanno retrocessa dicendomi che non avevo un abbigliamento adeguato". C’è Veronica, 36 anni che dopo 5 rinnovi a marzo non ha nessuna speranza di assunzione. Anna, 28 anni, arriva da Verona: "Il mio contratto a tempo indeterminato a queste condizioni se potessi lo cambierei subito con qualsiasi altro". Veronica de Sosa, 37 anni, tre rinnovi, l’hanno passata al magazzino. "Sbancalavo scatole di 20 chili senza sosta - racconta Veronica - non ero velocissima. 'Non sei a livello dello standard aziendale', mi hanno detto dopo un anno e 4 mesi di lavoro. Sono indignata per questo trattamento, per la pressione psicologica a cui siamo tutti sottoposti, agli orari di lavoro fino alle 24, ai permessi negati". "Trattati senza rispetto e poi ci dicono 'siamo una grande famiglia' - la chiosa dei lavoratori - i clienti non sanno quello che noi passiamo ogni giorno. Ora diciamo basta a tutto questo".