Gorgonzola, 17 luglio 2013 - Investita e uccisa, si costituisce il pirata della strada che ha causato la morte di Beatrice Papetti.  Si tratta di El Habib Gabardi, un ambulante marocchino di 39 anni (residente a Roncello) che si è costituito ieri sera, poco dopo le 22 alla stazione dei carabinieri di Cassano D’Adda. L'uomo è stato interrogato tutta la notte e ha fornito la sua versione dei fatti sul tragico incidente. I carabinieri hanno ritrovato e sottoposto a sequestro l’autovettura, un “Peugeot Ranch”. Stando a quanto riportato dall'Ansa, il pirata aveva nascosto la sua auto nel garage di un amico (GUARDA LE FOTO DELL'AUTO), perché nessuno potesse vederla, notarla, o ricollegarla a lui. A spingerlo a costuirsi, ha detto ai carabinieri, "Il rimorso per quello che avevo fatto e le foto di quella ragazzina così piccola sui giornali" (CHI ERA BEATRICE PAPETTI). Il marocchino ha fornito una confessione breve e completa: "Non ho visto quella ragazza, ho avuto paura, non sono riuscito a pensare e sono scappato". Il marocchino si era confidato nella sua moschea durante Ramandan e l'imam lo avrebbe convinto a costituirsi.  Rischia una pena dai tre ai dieci anni, e poi va considerata l’aggravante del mancato soccorso. 

 

IL CONSIGLIO IN MOSCHEA: "CONSEGNATI" - Stando a quanto rivelato dal pirata della strada, per maturare la scelta di consegnarsi ai carabinieri sarebbe stato determinante il consiglio di un religioso della moschea di Pioltello. Prima di presentarsi dai carabinieri con il suo legale, il 39enne si è infatti confidato in moschea, dopo i riti del Ramadan, il mese di digiuno e penitenza dei musulmani. Ha parlato con un religioso che lo conosce da tempo, chiedendo cosa avrebbe dovuto fare un ''buon musulmano'' e l'uomo gli ha detto di costituirsi subito

 

PUNTI OSCURI NELLA CONFESSIONE - La versione del marocchino di 39 anni ha ancora diversi punti poco chiari. L'uomo, riferisce il capitano dei carabinieri di Cassano D'Adda, Camillo Di Bernardo, responsabile delle operazioni sull'incidente mortale del 10 luglio scorso, racconta di non avere capito subito la gravità dell'impatto. Il 39enne avrebbe compreso di aver investito un essere umano solo il giorno dopo l'incidente, leggendo della morte di Beatrice sui giornali: a questo punto ha nascosto la sua Peugeot Ranch, rimanendo in silenzio fino alle 23 di ieri sera, quando si e presentato al comando dei carabinieri con il suo legale.

I danni riportati dall'autovettura, tuttavia, appaiono evidenti anche a un'occhiata superficiale: le fotografie scattate dai carabinieri mostrano una Peugeot Ranch priva dello specchietto destro, con vaste ammaccature sul paraurti anteriore destro e soprattutto sul parabrezza, che oltre a essere compatibili con i frammenti trovati sul luogo dell'incidente evidenziano la gravita' dell'impatto anche a un occhio poco esperto. Lo straniero, inoltre, racconta di essersi dato alla fuga per evitare controlli sul veicolo, che non era stato sottoposto alla revisione periodica, e di aver deciso di consegnarsi spinto dal rimorso per la morte della sedicenne. I carabinieri, pero', avevano effettuato controlli su centinaia di veicoli, e con ogni probabilita' il pirata della strada aveva intuito che le forze dell'ordine erano ormai a un passo dal l'identificazione. Ora l'automobilista e' formalmente accusato di omicidio colposo e omissione di soccorso e rischia una condanna a sette anni di reclusione.

 

IL PADRE: "NON CREDO A PENTIMENTO" - Un pentimento, quello dell'investitore, al quale non crede il padre della vittima, Nerio Papetti: "Non voglio sentire parlare di scuse, mi interessa solo la giustizia. Quello che è successo a mia figlia non deve più accadere. Non credo al rimorso, visto che ha nascosto l'auto. Penso più che altro che ormai il cerchio si era stretto talmente tanto attorno a lui che non aveva più modo di fuggire".

 

"RIMORSO A SCOPPIO RITARDATO" - "Il rimorso a scoppio ritardato, arrivato dopo una settimana, solo perché le forze dell’ordine ti stanno addosso e sai che hai le ore contate, non può essere una scusante. E nemmeno una attenuante. Fuggire via dopo una tragedia è una condotta gravissima, che va punita con il massimo della pena". Domenico Musicco, presidente dell’associazione vittime della strada, ha incontrato i genitori della piccola Beatrice. "Sapevano che l’avrebbero preso - dice - in cuor loro erano sicuri che la loro bambina avrebbe avuto la giustizia che meritava. E anche io li avevo rassicurati. Non poteva farla franca. Troppe tracce, troppa pressione".

 

LA TRAGEDIA - La giovane Beatrice, la notte della tragedia, stava attraversando la strada Padana Superiore in bicicletta, insieme a un cugino diciottenne, rimasto miracolosamente illeso. Per una tragica beffa del destino, ad accorrere per primo sul posto era stato proprio il padre, che fa il volontario e quella notte guidava l’ambulanza. Dalle poche testimonianze e dalle telecamere si era individuato subito il modello di auto pirata.

La macchina si dirigeva ad alta velocità in direzione Gessate e, dopo l’impatto, chi era alla guida aveva accelerato per fare perdere ogni traccia. Le indagini dei carabinieri si erano concentrate subito sul recupero dei filmati di alcune telecamere di videosorveglianza posizionate prima e dopo il tratto stradale in cui era avvenuto l’impatto. C’erano molti elementi che potevano aiutare gli investigatori a identificare il colpevole, ma soprattutto dal giorno della tragedia erano stati molti gli appelli lanciati perché il pirata si costituisse e fosse resa giustizia alla piccola e dolce Beatrice.