Editoriale

Lev Trockij e gli scioperi a Milano

Ineluttabile come la morte e le tasse, ogni mese a Milano c’è uno sciopero del servizio di trasporto pubblico. Partiamo dalle ragioni. I lavoratori hanno protestato contro ogni limite al diritto di sciopero; contro appalti e subappalti; per il blocco delle spese militari; contro i salari d’ingresso; per la sicurezza sul lavoro. Sono tutte solide motivazioni, che rimandano alla parte più discutibile di quel modello economico capitalistico che pervade l’Occidente da due secoli, e sono così valide e universali da potersi replicare mese dopo mese dopo mese, anno dopo anno dopo anno.

E così i pendolari milanesi si ritrovano periodicamente costretti a prendere le automobili invece del metrò, intasando il traffico di una città già intasata, oppure a chiamare un taxi che, vista la proverbiale scarsità di auto bianche, non troveranno. Davanti alle telecamere, quei cittadini sono tutti furibondi: c’è chi dice che si dovrebbero vietare gli scioperi, chi sostiene che non servano a nulla, chi ammette con noncuranza che da domani salterà i tornelli e chi manda tutti quegli scioperanti sonoramente a quel paese. Ascoltando le loro voci, viene quasi da pensare che un rivoluzionario comunista come Lev Trockij fu piuttosto lungimirante nello scrivere che – cito – “ci sono dei casi in cui lo sciopero può indebolire più gli operai che il loro diretto avversario”.