NON SOLO PAGAMENTI: PAYPAL SI LANCIA SUL TRADING ONLINE

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PRIMA i semplici pagamenti, poi le transazioni in criptovalute come i Bitcoin e adesso pure il trading online, cioè la compravendita di azioni e altri strumenti finanziari via internet. È questa la strategia che potrebbe essere messa in atto da un colosso internazionale della tecnologia come la californiana PayPal, piattaforma internazionale di pagamento elettronico ormai utilizzata in tutti i maggiori paesi industrializzati. L’indiscrezione è stata resa nota la scorsa settimana dalla Cnbc, emittente americana specializzata in economia e finanza, che ha citato fonti vicine al progetto e ha rivelato un fatto molto significativo: di recente, PayPal ha arruolato nel proprio organico il manager Rich Hagen, veterano del trading online, che ha lasciato la casa di investimenti Ally Invest ed è passato alla guida di Invest at PayPal, una nuova divisione del gruppo californiano, finora rimasta sconosciuta al grande pubblico.

Dopo aver lanciato nei mesi scorsi un servizio per effettuare transazioni in criptovalute, insomma, PayPal ambisce sempre più a essere un player finanziario a 360 gradi, che include appunto anche il trading via internet. Del resto, dopo il boom vissuto agli inizi del terzo millennio e lo sgonfiamento nei decenni successivi, la compravendita di azioni e di altri strumenti di investimento sul web è tornato a essere un business che fa gola a molti gruppi finanziari, soprattutto dopo l’avvento degli smartphone e della telefonia di nuova generazione, che ha reso più facile l’accesso ai mercati finanziari anche dal cellulare, oltre che dal computer di casa. Se il progetto di PayPal dovesse andare oltre le indiscrezioni e diventare effettivo, la società californiana sarà un temibile concorrente per Robinhood, altra applicazione per il trading online molto popolare tra i piccoli investitori e salita agli onori delle cronache nel gennaio scorso, quando è stata utilizzata da migliaia di suoi clienti per sostenere le quotazioni di GameStop, nota catena di rivendite di videogiochi, i cui titoli in borsa sono stati bersagliati dalle speculazioni dei grandi investitori internazionali. Con oltre 22 milioni di clienti, Robinhood si è quotata a fine luglio al Nasdaq, il mercato borsistico americano dove sono scambiati i titoli del settore tecnologico. Sul listino le azioni della società si sono mosse più volte sull’altalena, con movimenti consistenti quanto bruschi, segno di un notevole interesse raccolto dagli investitori. Dopo un debutto tutt’altro che esaltante e un ribasso di ben l’8% nel primo giorno della quotazione, il titolo Robinhood ha poi messo il turbo e raddoppiato il proprio valore, passando da un prezzo di quasi 34 dollari a un massimo di oltre 70 dollari tra la fine di luglio e la prima decade di agosto. Poi, nelle settimane successive c’è stata una brusca retromarcia fin sotto i 45 dollari toccati a inizio settembre. Colpa di una relazione di bilancio trimestrale un po’ deludente rispetto alle stime degli analisti. Anche se la crescita dei ricavi non è stata in linea con le attese, però, Robinhood è ormai comunque un’azienda capace di fare una montagna di soldi, con ricavi di oltre 550 milioni di dollari ogni trimestre.

Al di qua dell’Atlantico, il mondo del trading ha visto invece crescere nell’ultimo decennio multinazionali come eToro, altra società che punta molto sui piccoli investitori, disposti a negoziare sui mercati anche poche centinaia o migliaia di euro. Fondata da due imprenditori-fratelli di origine israeliana, Yoni e Ronen Assia, eToro ha oggi una dimensione transnazionale con sedi legali a Cipro, Israele, Regno Unito, Stati Uniti e Australia e un’offerta di intermediazione che copre più paesi nel mondo, Italia compresa. Nel secondo trimestre del 2021, la società ha raggiunto un patrimonio amministrato di 9,4 miliardi di dollari e incassato commissioni per 326 milioni, grazie in buona parte alle criptovalute, ormai gettonatissime dal popolo dei trader. Se si guarda alle negoziazioni su Borsa Italiana, però, non va dimenticato che il mercato del trading resta dominato dai player nazionali. Prima fra tutte la Fineco che nel segmento azionario ha per esempio una quota di mercato di oltre il 25% per controvalore degli scambi intermediati (fonte: Assosim). Segue Intesa Sanpaolo che, sempre nell’azionario, ha una quota di mercato di oltre il 18%, tenendo conto che ha da poco inglobato all’interno del gruppo anche IWBank.