LE STRADE DEL RISPARMIO: GESTIONI, FONDI ESG E LA CARTA PIR

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SONO PREOCCUPATI del futuro e risparmiano ancora tanto. Ma spesso investono i loro soldi in strumenti finanziari che rendono poco o nulla, e dunque non contribuiscono alla crescita economica del Paese. Ecco il ritratto delle famiglie italiane emerso nelle scorse settimane, leggendo le relazioni annuali delle principali authority finanziarie della penisola, da Bankitalia alla Consob. A tracciare per ultimo questo quadro in chiaroscuro è stato proprio il presidente della Consob, Paolo Savona, che il 14 giugno ha tenuto il suo consueto discorso annuale. Oltre a mettere in guardia dai rischi di nuove forme di investimento come le criptovalute, Savona ha ricordato che nel 2020 il tasso di risparmio delle famiglie è cresciuto di ben il 50%. Merito (o colpa che dir si voglia) dei timori sul futuro legati alla pandemia del Covid-19, che ha spinto i nostri connazionali ad accantonare un po’ più soldi di prima. Tuttavia, il presidente della Consob ha messo in evidenza anche l’altra faccia della medaglia. Se si escludono gli investimenti in azioni di società quotate, che hanno subito una notevole rivalutazione negli ultimi mesi, i risparmi degli italiani sono destinati in buona parte a strumenti finanziari con rendimenti scarsi.

La prova, conti alla mano, arriva dall’ultima relazione annuale di Bankitalia. Su oltre 4.700 miliardi di ricchezza finanziaria lorda, infatti, quasi 1.400 miliardi sono parcheggiati nei depositi bancari che, come sa bene chiunque detenga un conto corrente, oggi sono pressoché infruttiferi. Altri 247 miliardi di euro sono destinati ai titoli di stato e alle altre obbligazioni che danno interessi ridotti al lumicino se non addirittura negativi mentre è di 185 miliardi il valore dei biglietti e del denaro circolante. Tirando le somme, più di un terzo del tesoretto messo da parte dai nostri connazionali (se non addirittura la metà), è destinato ad attività infruttifere. Il che, come ha fatto notare Savona, è un po’ un peccato perché sottrae di fatto risorse all’economia nazionale. Una remunerazione di almeno l’1% dei risparmi netti delle famiglie, infatti, vale nel complesso circa 30 miliardi di euro, ovvero quasi due punti percentuali del Pil. I dati rilevati da Bankitalia e dalla Consob sono aggiornati alla fine dell’anno passato ma, quasi sicuramente, nel 2021 il quadro non è cambiato di molto.

I risparmiatori della penisola restano infatti molto prudenti e non amano più di tanto le azioni o i fondi d’investimento. Il valore complessivo dei titoli azionari in mano alle famiglie, alla fine del 2020 era infatti pari a 936 miliardi. La ricchezza destinata ai fondi comuni ammontava a quasi 685 miliardi, in buona parte investiti però in prodotti prudenti, con un portafoglio composto per lo più da obbligazioni. Infine, altri 1.200 miliardi circa erano destinati a strumenti finanziari come i fondi pensione, le polizze assicurative o il Tfr (trattamento di fine rapporto), che solitamente vengono acquistati per ottenere una rivalutazione del capitale soltanto nel lungo periodo. " Il risparmio ha contribuito significativamente a sostenere la stabilità dei mercati", ha detto ancora Savona, "senza però aver prodotto la crescita reale attesa".

Cosa fare dunque per spingere questa montagna di risorse a sostenere con più forza l’economia nazionale? Sul tema è in corso da anni un dibattito, che coinvolge molte associazioni di categoria del settore finanziario. Tra queste c’è per esempio Assogestioni, rappresentativa della maggiori società di gestione del risparmio attive in Italia, il cui direttore generale Fabio Galli è intervenuto il mese scorso di fronte al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel). Galli ha messo in evidenza come l’industria del risparmio gestito (o asset management) può giocare un ruolo importante nel sostenere l’economia attraverso tre modalità. La prima è lo sviluppo di prodotti d’investimento legati ai temi della sostenibilità ambientale e alla responsabilità sociale (identificati nella comunità finanziaria con la sigla Esg). La seconda è rappresentata dal ruolo sempre più attivo dei gestori dei fondi nell’azionariato delle società quotate in borsa, in cui detengono delle partecipazioni. Infine, il terzo pilastro che può sostenere l’economia nazionale è lo sviluppo di prodotti finanziari come i piani individuali di risparmio (Pir) alternativi, che investono buona parte del loro capitale in piccole e media imprese italiane, comprese quelle non quotate in Borsa.