Un milione di lombardi scende dal treno: uno su 4 continuerà a lavorare da casa

È lo scenario futuro nel solo settore pubblico dove lo smart working diventerà strutturale. Milano deve cambiare. Una condizione da definire in termini di contratti e flessibilità

Smart Working

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Milano, 14 novembre 2020 - Il Comune di Milano si prepara a un futuro post-pandemia con il 34% dei dipendenti in smart working e, per questo, si sta muovendo per realizzare uffici distaccati nelle sedi periferiche e per stringere inediti accordi con aziende private nell’hinterland che potrebbero mettere a disposizione spazi inutilizzati. Una rete di coworking per consentire ai dipendenti di Palazzo Marino di lavorare “sotto casa“, con un modello nuovo. Multinazionali come Eni, Pirelli o Vodafone che hanno avviato piani per rendere sempre più strutturale il lavoro a distanza, dopo la sperimentazione obbligata dalla pandemia che ha accelerato processi già in corso. Aziende come Finix, ex Fujitsu Italia, che chiudono la sede: tutti i dipendenti lavorano da casa e, all’occorrenza, c’è lo spazio affittato in un coworking in zona Brera per organizzare riunioni con clienti e fornitori. "Lo smart working è destinato a diventare una modalità di lavoro sempre più diffusa", spiega Eros Lanzoni, segretario della Cisl di Milano. "Ma lo smart working per essere smart va contrattato in modo intelligente".

Secondo i dati del sindacato, nella Lombardia zona rossa e in particolare nel Milanese circa il 50% dei lavoratori, in particolare nel settore pubblico, ora opera da remoto. E una volta superata l’emergenza, "almeno un addetto su quattro proseguirà in questo modo". Tradotto, significa che sul lungo periodo da 500mila a un milione di lombardi potrebbero smettere di prendere il treno o l’auto tutti i giorni per raggiungere gli uffici e lavorare da casa o in una rete di coworking sul territorio, con tempi e modalità da definire attentamente, anche per difendere il diritto alla disconnessione ed evitare abusi. Una rivoluzione nel lavoro di impiegati, bancari, informatici, solo per citare alcune mansioni che non richiedono un contatto quotidiano con il pubblico o una presenza fisica sul posto di lavoro.

«Con la pandemia più che uno smart working c’è stata una remotizzazione forzata – spiega il giuslavorista Maurizio Del Conte, presidente di Afol Metropolitana e “padre“ della legge 81 sul lavoro agile –. La norma è una cornice che consente al lavoratore di avere i diritti propri del lavoro subordinato facendo a meno di due elementi come spazio e tempo – prosegue – e si sono aperti spazi che devono essere riempiti dalla contrattazione. I problemi si sono creati nelle aziende meno strutturate, dove ci si è limitati a fotocopiare le stesse modalità del lavoro in presenza".

È la fine del modello “ufficio fabbrica“, con il cartellino da timbrare, 8 ore 5 giorni su 7, il viaggio in treno, il pranzo in mensa e le chiacchiere con i colleghi? Difficile prevedere il futuro, ma alcuni effetti si stanno già facendo sentire nel presente. Intere zone di Milano, che prima della pandemia brulicavano di impiegati, ora sono deserte. Ristoranti, bar e negozi sorti nei nuovi quartieri “business“ potrebbero non riaprire più. Un colpo di spugna su migliaia di posti di lavoro legati agli uffici, dalle mense alle pulizie. E i grattacieli di Citylife appena costruiti, che hanno cambiato il volto della città, rischiano di diventare un simbolo del passato.