Mafia a Palermo: 31 arresti e sequestri in odore di Cosa Nostra

In carcere soggetti criminali del mandamento di Brancaccio che comprende le famiglie mafiose di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella. Le accuse: estorsioni e traffico di armi e stupefacenti

La Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri di Palermo su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del capoluogo, nei confronti di 31 indagati (di cui 29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), residenti nelle città di Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova e a sequestri preventivi di circa 350mila euro. Il provvedimento eseguito dalla polizia giudiziaria riguarda il capitale sociale, i beni aziendali e i locali di imprese considerate dagli inquirenti "frutto di intestazione fittizia". Nel mirino una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.

I soggetti sono ritenuti, a vario titolo, gravemente indiziati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, “per aver fatto parte, in concorso ed unitamente ad altre numerose persone, dell’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”, promuovendone, organizzandone e dirigendone le relative illecite attività e per essersi, insieme, avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per se e per gli altri, per intervenire sulle istituzioni e sulla pubblica amministrazione”.

Il mandamento

Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine avviata dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo nel 2019 e supportata da presidi tecnici, che ha consentito di  acquisire gravi indizi in ordine all’attuale organigramma delle famiglie mafiose attive nell’ampio contesto criminale del mandamento di Brancaccio che comprende le famiglie mafiose di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella. nell’ambito del medesimo contesto investigato, attraverso l’esecuzione del Decreto di Fermo di Indiziato di delitto emesso dalla Procura di Palermo-DDA a carico di numerosi indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata.

Intimidazioni e "pizzo"

Numerosi gli episodi ricostruiti dagli investigatori. C'è ad esempio l'imprenditore edile che corre a "mettersi a posto" con i clan per non subire furti o danneggiamenti nel suo cantiere, ma anche l'ambulante che vende lo 'sfincione', tradizionale focaccia palermitana a base di sugo di pomodoro e caciocavallo, che dopo avere subito una intimidazione si affretta a pagare. Sono le tristi storie di estorsioni che emergono dall'operazione antimafia . Dalle indagini emerge l'imposizione a tappeto del racket nella zona di Brancaccio, alla periferia est della città, dove nessuno sfuggiva alla legge del "pizzo".

Imprenditori sotto tiro

Emblematica la conversazione captata dalle microspie degli investigatori tra il responsabile delle estorsioni della cosca mafiosa e un suo sodale, avvicinato da un imprenditore edile che - avendo in progetto di acquistare un terreno nella zona di competenza della famiglia mafiosa per costruirvi appartamenti e consapevole di doversi assoggettare alle pretese mafiose per poter realizzare le costruzioni senza incorrere in furti, rapine o danneggiamenti - si è rivolto al referente mafioso della zona per 'mettersi a posto' e ottenere la protezione di Cosa nostra. Diverso l'episodio dell'ambulante, il cosiddetto 'sfincionaro': quest'ultimo, dopo avere subito il danneggiamento della saracinesca del proprio laboratorio con l'attak, si è rivolto a uno degli indagati per pagare. Gli investigatori, inoltre, segnalano la "pervicacia" dimostrata dagli estortori di Brancaccio che non avrebbero esitato a effettuare un sopralluogo in un cantiere edile, nonostante la vicinanza con il Commissariato di polizia della zona, per chiedere il pizzo.

Ne è scaturito un solido quadro probatorio a carico degli odierni indagati circa la loro intraneità alle citate consorterie criminali che, sotto la direzione di personaggi del calibro di D. L. G, vertice della compagine, coadiuvato da N. S., V. A. e D. F. M. , quest’ultimo responsabile operativo per il settore delle estorsioni e del traffico di droga, hanno riorganizzato i sodalizi mafiosi permettendone non solo la sopravvivenza ma consentendo una maggiore espansione sul territorio di Brancaccio. Ne è la dimostrazione l’aver documentato 50 episodi estorsivi ai danni di titolari di esercizi commerciali, dimostrativi che le attività produttive della zona sono sempre oggetto di attenzione dell’articolazione mafiosa e molti esercenti, dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione, sono soggetti alla pretesa del pizzo quando non addirittura costretti, ab origine, a chiedere l’autorizzazione prima di avviare i lavori o ad assumere dipendenti dettati dal gruppo criminale.

Armi e droga

Per quanto riguarda le armi, “è di tutta evidenza, dunque, come tutti gli associati abbiano piena consapevolezza di siffatta disponibilità e siano ben consci anche della loro possibilità di ottenere il concreto possesso di armi di cui siano in un dato momento sprovvisti rivolgendosi ad altri sodali, financo a quelli eventualmente inseriti in altre articolazioni territoriali dell’organizzazione criminale”. Anche il traffico di stupefacenti rappresenta una importante voce di arricchimento illecito; dal complesso delle attività, infatti, è stato possibile quantificare gli introiti derivanti dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai sodali, con un ricavo presunto di circa 80mila euro settimanali, nonché accertare la provenienza di parte dello stupefacente ad opera di due Calabresi, destinatari dell’odierna ordinanza. In tale ambito sono stati eseguiti, in più occasioni ed a titolo di riscontro, 16 arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sequestrati circa 80 Kg di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8 milioni di euro.

Cosa Nostra

Afferma il Giudice, “non ci si può infine esimere dal rimarcare che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e “ideali”, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole “sbirro” o carabiniere” quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate”. In tale contesto si richiama il servizio di captazione a carico degli indagati che nel maggio del 2019, durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, veniva prospettata l’intenzione di un parente di un coindagato di far partecipare la figlia alle relative iniziative scolastiche. In proposito il presunto uomo d’onore, dopo aver apostrofato la parente del coindagato come sbirra, ha sottolineato come lui non avesse mai prestato il consenso alla partecipazione definita “vergogne” a queste iniziative, ribadendo che non potevano “immischiare le carte con Falcone e Borsellino”. Continua il Giudice che “si colloca nel medesimo solco, ed è per la verità ancora più sconcertante, il fatto che la “formazione” mafiosa non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti Giudici Borsellino e Falcone”.

Anche in piena emergenza epidemiologica sono stati acquisiti gravi indizi in merito al rastrellamento di denaro dalle pochissime attività rimaste aperte e con volumi di affari certamente ridotti ma in un caso un indagato si è impossessato di venti cartoni di mascherine FP3 contenenti 16mila mascherine, sottraendole ad un Ospedale cittadino dove svolgeva attività lavorativa perché appartenente all’area “Emergenza Palermo”, per rivenderle a scopo di lucro. 

Nelle indagine i carabinieri  del Nucleo Investigativo di Palermo, colpisce un gruppo di soggetti gravemente indiziati di essere direttamente legati a Giuseppe Greco e Ignazio Ingrassia che, forti dei loro storici legami con “Cosa Nostra”, sarebbero stati in grado di coadiuvare i due vertici nella gestione del mandamento mafioso e nella conduzione delle attività illecite che alimentavano le casse della famiglia mafiosa di Ciaculli. Fra i 5 soggetti destinatari di misura cautelare oggetto delle investigazioni dei Carabinieri di Palermo figurano infatti F. G., direttamente legato per connessioni parentali ai vertici del mandamento, e E. P..  L’agguerrita compagine criminale, per il tramite dei suoi collaboratori, si sarebbe dunque occupata dell’imposizione delle cosiddette sensalerie sulle compravendite di immobili ricadenti sotto l’area di influenza, commettendo vere e proprie condotte estorsive in danno di quei cittadini che, per concludere affari immobiliari, si sono visti costretti ad accettate l’opera di mediazione degli indagati.

Coltivazione di cannabis

Altro settore illecito è quello della coltivazione di piantagioni di cannabis-sativa, da cui veniva ricavato lo stupefacente destinato alle piazze di spaccio del capoluogo. Le acquisizioni dei militari del Nucleo Investigativo hanno, altresì, evidenziato che la compagine criminale avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte direttamente alla conduttura “San Leonardo”, di proprietà del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”. Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini operanti nell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate.  Tale circostanza, oltre a costituire un guadagno illecito per l’organizzazione mafiosa, avrebbe permesso alla famiglia mafiosa di Ciaculli di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza: l’acqua.

Scommesse illegali

Un ulteriore “affare” sul quale gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo, è stato rintracciato nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali. Questo delicato settore, che risulta una costante nella moderna economia che costituisce gli affari delle famiglie mafiose siciliane, avrebbe assicurato cospicui introiti nella cassa della consorteria di Ciaculli e di quel mandamento mafioso, che avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta alle attività ludiche dalle leggi italiane. Il compenso, tuttavia, sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento mafioso. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.

Prodotti ittici

Contestualmente la Polizia Giudiziaria operante ha dato esecuzione al sequestro preventivo del capitale sociale, dei beni aziendali e dei locali della impresa, per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro in quanto frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse. È obbligo rilevare che gli odierni indagati e destinatari della misura restrittiva, sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, pur gravemente, e che la loro posizione sarà definitivamente vagliata giudizialmente solo dopo la emissione di una sentenza passata in giudicato in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.