Cremona, quando l’arte serviva il Regime

Prorogata a furor di visitatori la mostra sul premio voluto da Pavolini. I pittori alla corte del ras visti da Sgarbi

Una delle opere esposte

Una delle opere esposte

Cremona, 21 gennaio 2019 - Tranquilli non è la trasposizione pittorica del “ritratto dell’artista da giovane” di James Joyce, o di quello “da cucciolo” di Dylan Thomas. Certo, il soggetto, un “Balilla” in pantaloni corti d’ordinanza e braccio destro teso nel saluto - peccato quel caschetto alla “maschietta”... -, e il nome dell’autore del quadro, Innocente Salvini, possono indurre i più maliziosi, solo loro?, a immaginare qualche accostamento, o addirittura un “selfie ante litteram”, ma littoriale, del multiforme ministro. I curatori della mostra, però, se pure hanno a bella posta dato al dipinto un posto d’onore, subito all’inizio della galleria, escludono qualunque parentela: «Un pittore lombardo avvolto negli affetti familiari e nell’amore per la sua terra». E poi quel nome, Innocente, suvvia! Sta registrando un più che notevole successo, tanto da essersi già guadagnata in anticipo una proroga, chiusura non più il 24 febbraio ma il 3 marzo, “Il regime dell’arte”, la mostra che Vittorio Sgarbi e Rodolfo Bona hanno dedicato al Premio Cremona, proprio nelle sale del Museo Civico Ala Ponzone. Una manifestazione che Roberto Farinacci, il ras del fascismo locale, aveva voluto nel 1939 con l’intento di sostenere l’idea dell’arte come celebrazione dei valori e delle imprese del Ventennio, arte come propaganda, insomma.

Basti dire che i temi delle edizioni ‘40 e ‘41 furono “proposti” dallo stesso Mussolini: la battaglia del grano e la gioventù italiana del Littorio. Premio dalla vita effimera: l’edizione del 1942 non ebbe luogo. Doveva intitolarsi “Dal sangue la nuova Europa”. Tragicamente si vide solo il sangue. Premio, il Cremona, che non era mai stato sinora criticamente indagato. Sospettosi quasi tutti gli studiosi verso una manifestazione che, contraltare del ben più libero Premio Bergamo, era stata appunto ligia a una “missione” artistica totalitaria. Al punto che gli stessi pittori che vi avevano preso parte, oltre a negare la loro presenza, non esitarono poi, quando possibile, a “depurare” le loro opere dai dettagli politicamente più compromettenti. Anche il commercio è una “missione”.

Sgarbi e Bona hanno ora, in tempi di ormai generale sdoganamento di ogni tabù, inteso “osare l’inosabile” - puro Sgarbi, questo, non Bona -: «Fin dal titolo, non ironico ma neppure provocatorio, ricostruire un periodo di storia artistica senza vergogna, nella assoluta fedeltà dei fatti». Affrontando tre anni di arte del Novecento «al di fuori di estetismi brandiani, illuminazioni longhiane e antipatie personali che diventano negazioni della storia». In altre parole usando «gli stessi criteri che si adottano per lo studio dell’arte antica».

Così Sgarbi si spinge a individuare una continuità fra la grande tradizione quattrocentesca italiana, «l’arcano prototipo di Piero della Francesca, di Benozzo Gozzoli, del Ghirlandaio», e il trittico murale che vinse il primo premio del 1940: “Il grano” di Pietro Gaudenzi. Non si può certo dire lo stesso dei retorici “Emigranti” (italianissimi!) di Remigio Schmitzer, dell’orribile “Gioventù italiana del Littorio” di Dilvo Lotti, quasi anticipazione degli ormai simpatici “morti viventi” del cinema, o del “Discorso della proclamazione dell’Impero ascoltato dalla mia famiglia”, gruppo piccolo borghese in un interno, con aggiunta classista della “serva” esclusa dal salotto, meglio, salottino buono. E neppure del povero “Balilla” del povero Salvini.

Cremona, Museo Civico Ala Ponzone, via Ugolani Dati 4. Sino al 3 marzo. Catalogo Contemplazioni. Info: 0372. 407770.