Coronavirus, il racconto: "Diventare mamma nel grande contagio. Il mio atto d’amore"

Cremona, Elisa è nata nell’ospedale di frontiera: "Contro il parere di tutti ho scelto di rimanere qui"

Alessandra Pedroni

Alessandra Pedroni

Cremona, 6 giugno 2020 - «Io, mamma nei giorni più terribili dell’emergenza Covid". L’affacciarsi di una nuova vita, quella di Elisa, mentre, poco distante da lei, sono in tanti a morire a Cremona, una delle città più martirizzate dalla pandemia. Alessandra Pedroni , cremonese doc, laureata allo Iulm, a Milano, in scienze della comunicazione, è impiegata in una banca della sua città.

Signora Pedroni, non aveva pensato al parto in un’altra città? "Andrea, mio marito, è dirigente sportivo a Varese. Abbiamo casa. Di Varese si è parlato. Ho deciso che no. L’ho deciso contro tutti, familiari, parenti. Le mie bambine, Martina, che ha dieci anni, e Giulia, che ne ha quasi sette, sono nate a Cremona e le avrei avute vicine. Andare altrove mi sembrava un po’ come tradire la mia città".

Come sono stati i giorni prima del parto? "Andavo all’ospedale Maggiore per le visite di controllo e lo vedevo cambiare. Non si passava dal solito ingresso ma da un tendone all’esterno. Prima di entrare veniva misurata la febbre. Ci si doveva lavare le mani e indossare mascherine e guanti. Mi sembrava tutto strano, preoccupante. Mi sembrava persino esagerato: non lo era. C’era un continuo via vai di ambulanze, le sirene non smettevano mai. In reparto ho trovato facce nuove di medici. Ho capito che c’era gente che moriva. Per un attimo mi ha sfiorato l’idea di partorire a casa. Pensavo: ‘Le priorità sono altre. Con tutti quelli che muoiono troveranno il tempo per un bambino che deve nascere?’ E stato solo un attimo".

Così Elisa è nata in ospedale. "Nel reparto di ostetricia e ginecologia, al settimo piano, ho trovato come un mondo a sé stante, di serenità, di sorrisi. La dottoressa e le ostetriche mi dicevano: ‘Qui da noi è il reparto più bello: vediamo la nascita dei bambini e la felicità dei genitori’. Certo anche lì veniva avvertita la tragedia che si consumava fuori. Una delle infermiere era andata in appoggio prima al pronto soccorso e poi alla chirurgia. Era choccata, aveva avuto sotto gli occhi cose terribili. Diceva che il numero dei malati era impressionante, che il virus era sconosciuto e che non riusciva a vedere la fine di quel brutto periodo. Sono entrata in ospedale poco prima della mezzanotte del 29 febbraio. Temperatura. Mascherina. Carrozzina per salire in reparto. Non era ancora il momento e con mio marito siamo tornati a casa. Dopo un paio d’ore si sono rotte le acque. Siamo volati in ospedale. Sono entrata subito in sala parto".

Com’è stato il parto ? "Mi sono subito sentita protetta, coccolata. ‘Ti abbiamo riservato una camera tutta per te’, mi ha detto l’ostetrica Sylvie. Avevo chiesto l’anestesista per il parto analgesico. Pensavo che non venisse per via dell’emergenza, invece è venuto. I dolori del parto erano forti. Avevo sempre la mascherina e a un certo punto me la sono strappata. Elisa è nata alle tre e otto minuti di notte del primo marzo. Peso tre chili e 800 grammi. Piangeva tantissimo. Buon segno, mi hanno spiegato, voleva dire che i polmoni erano a posto".

E dopo la nascita? "Tempo un paio d’ore e abbiamo fatto lo skin to skin, pelle a pelle. Mi hanno deposto la bambina sulla pancia e lei ha iniziato ad arrampicarsi verso il seno perché aveva fame. Una cosa meravigliosa. Non ho fatto altro che piangere. È stata bellissima la donazione del sangue del cordone ombelicale. Avevo fatto gli esami, ero idonea. Il giorno dopo la caposala mi ha informato che per via del pericolo Covid non era stato possibile inviarlo a Pavia, al Policlinico San Matteo".

Cosa dirà a Elisa quando le racconterà della sua nascita? "Le dirò che è stata tanto voluta e desiderata. Che quando è nata a pochi metri c’era gente che moriva. Le dirò che è nata in un mondo difficile, in un momento difficile, ma che ha trovato tanta umanità".