Lutto nel motociclismo: morto Carlo Ubbiali, vincitore di 9 mondiali con la MV Agusta

Aveva 90 anni, era il terzo italiano più vincente dopo Giacomo Agostini e Valentino Rossi

Carlo Ubbiali

Carlo Ubbiali

Bergamo, 2 giugno 2020 - Probabilmente, per molti, soprattutto nei bar di Bergamo, è stato in assoluto il più grande di sempre. Non c'è controprova ma i numeri sono quelli di un mito: 39 vittorie in 74 gare, 9 mondiali conquistati non ancora trentenne, vittorie mitologiche in gare di durata leggendarie. 

Bergamo piange Carlo Ubbiali, ucciso da una complicazione polmonare quando inseguiva il traguardo dei 91 anni che avrebbe compiuto a settembre. Un mito, una leggenda, in bianco e nero. Nei bar è sempre stato descritto come il più forte di tutti dagli appassionati, anche se in realtà nessuno lo ha mai praticamente visto correre veramente in un periodo in cui non esistevano dirette televisive o radiofoniche. Un mito delle generazione di Bartali e Coppi, del grande Torino, di Puskas o Di Stefano, di Nuvolari o Fangio. Gli eroi dello sport del Dopoguerra. Con una differenza: Ubbiali rischiava la pelle ogni volta che allacciava il caschetto a scodella e senza protezioni, nemmeno le 'saponette', saliva su una moto pionieristica neppure paragonabile per freni, pneumatici o misure di sicurezza anche solo alle due ruote galoppate dal suo erede Giacomo Agostini. Anche per questo scelse di ritirarsi a soli 30 anni, perché voleva vivere e farsi una famiglia.

E forse perché banalmente aveva vinto tutto il possibile nei due Mondiali di allora, la 125 e la 250, che correva simultaneamente lo stesso pomeriggio sempre con la sua fedele MV Agusta. Un bergamasco in sella ad un bolide varesino, metafora nella velocita' dei successi imprenditoriali della Lombardia che anticipava gli anni del boom economico. Lo chiamavano il cinesino, perché era 'piscinin', e la 'Volpe' per via della sua astuzia tattica: passava gran parte delle gare, raccontano, a studiarsi gli avversari per bruciarli nei finali una volta scoperti i limiti.  Ed era un calcolatore nel gestire la moto e i rischi. Di sicuro era un cannibale: 39 gare vinte su 74 nel Mondiale. Cinque volte primo e sette secondo al mitico Tourist Trophy nell'isola di Man, dove il vincitore festeggiava due volte: per la vittoria e per non essere lui il 'morto di turno' in una gara che all'epoca era sempre fatale ad un concorrente. Come tante altre corse di durata stando in sella per ore o per giorni.

Per esempio nella mitologica Milano-Taranto che ventunenne concluse primo, ma facendosi aiutare dalla folla con qualche spinta nell'ultimo chilometro dopo che il motore si era ingrippato.  Svenne per lo sforzo dopo il traguardo, lo svegliarono i giudici di gara per dirgli che era stato squalificato per quella spinta dopo 1300 km di corsa… E anche quando trionfò diciassettenne nella corsa sulla Mura di Bergamo, altra gara mozzafiato, non fece in tempo ad esultare: squalificato dopo lo striscione di arrivo perché aveva falsificato l'età dichiarandosi diciottenne per correre. Era il 1947, un paio di anni dopo sarebbe diventato un pilota professionista e un campione imbattile per il decennio successivo. Chissà cosa avrebbe fatto con una moto dei tempi di Agostini o negli anni Ottanta o Novanta, o oggi in coppia con Valentino Rossi, che ha vinto nove titoli iridati proprio come lui…