La ricostruzione dei fatti e quelle vite “minuscole”

Vite minuscole. Non perché minori o poco importanti. Ma perché inserite, in buoni romanzi, nel ciclo maiuscolo della Storia

Milano, 10 dicembre 2017 - Vite minuscole. Non perché minori o poco importanti. Ma perché inserite, in buoni romanzi, nel ciclo maiuscolo della Storia. Vite come quelle dei personaggi di “Il segreto” di Antonio Ferrari, Chiarelettere. Personaggi d’invenzione, Ron J. Stewart, killer per conto di servizi segreti Usa, il professor Mario Crotti e il collega e complice francese Alain Lapierre, il capo terrorista Franco Morozzi e altri ancora. I nomi sono di fantasia, ma forti le somiglianze con protagonisti della storia vera. E verissima una delle persone chiave: Aldo Moro, il leader Dc rapito e poi ucciso dalla Brigate Rosse nel 1978. Perché questo è il libro di Ferrari, eccellente inviato del “Corriere della Sera”: una ricostruzione in forma romanzata di quella stagione della storia, in cui agenti internazionali, massoni segreti, estremisti, politici corrotti e criminali d’ogni tipo tramano e trafficano per ostacolare le ipotesi di rinnovamento della politica italiana fondate su un originale dialogo tra Dc e Pci. Il romanzo era stato chiesto negli anni Ottanta a Ferrari da vertici della Rcs. Poi però era finito in un cassetto. Adesso torna alla luce e arriva in libreria. Utile a chiarire pagine cupe della nostra storia recente. Si muove su un analogo doppio registro, fiction e realtà, anche Piero Colaprico, brillante giornalista e scrittore, con “La strategia del gambero”, Feltrinelli. Qui si tratta di disvelare gli affari e i legami della ’ndrangheta, insediata traMilano e un ricco e avido paese della Brianza.

In scena Corrado Genito, ex ufficiale dei carabinieri, finito in galera per i suoi modi troppo disinvolti. E, accanto e contro di lui, capimafia, uomini dei “servizi”, sindaci corrotti, truffatori, proprietari di night, ex militari slavi. Si spara, si ricatta, si consumano vendette. Quelli che vincono non sono necessariamente i migliori, secondo lo schema di “buoni” e “cattivi”. Pesano, il passato e la controversa relazione con la memoria. Di cui risuona chiara l’eco anche in “Sangue giusto” di Francesca Melandri, Rizzoli. La Storia è quella dell’Impero italiano in Africa Orientale, tra il 1936 e il 1945, con le sue pagine più crudeli (non erano tutti “brava gente”, i colonizzatori italiani, ma commisero stragi, depredarono, si macchiarono di crimini razzisti). E irrompe nella vita di Ilaria Profeti con l’arrivo di Shimeta, un migrante che ha in comune con lei una parte del cognome. Comincia “tutto questo scoprire” sul padre Attilio, le vicende di guerra mai raccontate, le bugie, le tracce d’un amore africano, il bisogno di sapere su appartenenze, paternità, verità. I percorsi di vita e i ricordi di Ilaria e Shimeta si incrociano e divergono. Ma le loro vicende svelano, nel microcosmo di fatti personali, aspetti generali: la conquista, la violenza, l’emigrazione, il bisogno forte di identità e speranza che suonano analoghi a quelli di migliaia di altre persone. Vite maiuscole.