Novantamila metri di bambù. Tutte le sfumature della Cina

Il padiglione di Pechino è l’opera più complessa di tutta l’Expo. La complessa struttura è divisa in quattro aree: cielo, uomo, terra e armonia di Cosimo Firenzani

La costruzione del padiglione della Cina a Expo

La costruzione del padiglione della Cina a Expo

Milano, 5 aprile 2015 - Mille pannelli di bambù usati come squame del tetto del padiglione cinese. Erano stati numerati uno ad uno, ma l’azienda incaricata li ha verniciati coprendo le cifre e ci sono voluti altri due mesi per numerarli di nuovo. «L’azienda ovviamente è stata multata», racconta il giovane architetto, Yichen Lu, che ha progettato l’imponente struttura della Cina. Ma c’è anche altro tra i retroscena raccontati dalla mente della struttura con cui la Cina si presenterà al mondo: studi internazionali di architetti e designer da tutto il Mondo che si sentono su Skype alle 23 per cercare di aggirare il problema dei fusi orari.

E’ la prima volta che la Repubblica popolare cinese ha un padiglione in proprio, se si esclude l’edizione di Shangai 2010. I lavori al padiglione dal titolo ‘Terra di speranza, cibo per la vita’, saranno ultimati entro la fine di aprile. Intanto ci sono operai che stanno lavorando sul sito espositivo imbracati e appesi a fili di acciaio, come fossero scalatori, per montare le parti della complessa struttura del tetto del padiglione. Un tetto ondulato composto da quattro strati: uno in legno lamellare (realizzato da un’azienda friulana, la Stratex), uno in pvc, un sistema di illuminazione e ombreggiatura e uno realizzati con 90mila metri di bambù tagliato a pezzi.

E’ servito un manuale redatto per l’occasione per illustrare agli operai le varie fasi di montaggio: «Il tetto è stato la nostra sfida – racconta l’architetto cinese, responsabile dello studio Link-Arc di New York – È un volume fluido derivante dalla fusione dello skyline di Pechino sul lato nord e il contorno di alcune montagne cinesi a sud. Nel complesso, credo che questo padiglione sia l’opera tecnicamente più complessa di tutta l’Esposizione». Il tetto del padiglione cinese, il secondo di tutta l’Expo per grandezza dopo quello tedesco, doveva dare l’impressione di galleggiare: «C’è stata una lunga fase di studio – prosegue Yichen Lu –Volevamo fare un sistema di travi di acciaio, ma poi si sarebbe stravolto il progetto e soprattutto l’immagine che volevamo dare. Siamo riusciti a realizzare un sistema di colonne e di applicazioni che colleghino tra loro le travi in legno». Dal punto di vista dei contenuti il padiglione è diviso in quattro aree: cielo, uomo, terra e armonia. L’obiettivo è illustrare la tradizione cinese, ma allo stesso tempo mettere in mostra le più recenti innovazioni tecnologiche. Ma quale sarà la fine del padiglione una volta finita l’Esposizione? «Ci sono tre aziende cinesi – afferma Yichen Lu – che hanno fatto richiesta per portare il padiglione in Cina. Stiamo facendo uno studio di fattibilità per capire quanto costerà smontarlo e rimontarlo di nuovo in un altro posto. A me piacerebbe restasse a Milano».